Per una trattazione completa bisognerebbe parlare de Le roman de Renart, il primo romanzo ovvero il nuovo genere letterario della Borghesia.
Il romanzo è borghese semplicemente perché nasce con l’avvento della Borghesia come classe che aspira e avrà il potere. Ciò non significa che il romanzo non abbia quella forza rivoluzionaria, anzi… Tutti i grandi romanzieri dell’Ottocento hanno in comune con i cospiratori e i rivoluzionari il desiderio che il mondo cambi: questa è una fiducia estrema.
Il romanzo principe da cui nasceranno le più ardite manifestazioni dell’animo umano è proprio il Don Quijote di Cervantes. Noi siamo stati affascinati dal romanzo suddetto come dal “Commento” di Miguel De Unamuno.
La sua Vita di Don Chisciotte e Sancho, pur risalendo al 1905, è stupenda, pur soffrendo troppo del disordine della Spagna che tanto fu a cuore al grande saggista.
Comunque per le “verità” e la bellezza dell’opera del De Unamuno sarà impossibile non farne riferimento.
Res ed Oggetto ovvero Realtà e Mondo
Gli spazi immensi li aveva sempre guardati con un certo timore e in verità, che scopo, quale fine per lui aveva il mondo esteriore?
Lui, un modesto signorotto di campagna che aveva visto al di là delle quattro mura domestiche, i soliti contadini bruciati dal sole ed arsi dalla miseria o i soliti scrivani blasonati: scrivani blasonati dalle insegne ormai logore e scolorite.
La sua biblioteca era la sua realtà, la sua res heideggeriana nevvero ciò che ci riguarda consapevolmente e coscienzialmente.
L’oggetto era il mondo e l’oggetto è sempre in subordine alla res.
La sua biblioteca, il suo mondo reale heideggeriano era fatto di carta: libri innocui, anacronistici, pieni di idealità scomparse. Ma l’idea, l’eidos, non nasce a caso, si matura e scoppia come un ciclone di fiori, ciclone inatteso dentro che preme sulla coscienza, tralasciando l’oggetto: le verità che fan scienza.
Ma la res, la coscienza son più importanti della scienza in quanto costituiscono co-scienza: il dissidio di Don Chisciotte è tra sé e ciò che è fuori di sé, tra autenticità e banalità.
E l’autenticità si traveste di follia, quella giudicata in modo oggettivo da medici, uomini di scienza, da uomini dell’oggetto.
Ora quegli spazi enormi per il povero signorotto di campagna acquistavano un senso, un preciso significato: vivere la propria idea al di là dei blasoni ufficiali più o meno sbiaditi.
Il signorotto doveva redimere il mondo dal vile denaro, dal ricco faccendiere, dallo speculatore, dal crasso banchiere… e saltò sopra Ronzinante che da misero quadrupede, divenne anch’esso un magnifico destriero. Don Chisciotte si batte contro un mondo dove il denaro e l’ipocrisia sono i suoi elementi vitali, elementi tali da comperare persino le coscienze. Un altro folle lo seguì non per fede ottusa ma per fede ed era Sancho: tale non è il buon senso ma semmai, l’apostolo folle del suo signore. Tutti e due, con modi diversi, si battono per redimere un mondo opaco e grigio nonostante gli insistenti raggi solari che scendono a picco e ti scorticano con il loro calore e la loro luce la pelle ma non l’anima. E come si suole per rituale ad un nobile signore, l’amor che il cor move, si abbisogna della stupenda donna simbolo: era una rozza contadina vista neppur quattro volte dal nostro nobile cavaliere e la donna da oggetto divenne res: Dulcinea del Toboso.
Ha ragione forse De Unamuno che Cervantes è nato per descrivere Don Chisciotte? Al che si potrebbe aggiungere sempre sulla scia del De Unamuno che la Spagna è nata affinché nascesse Miguel de Cervantes ma De Unamuno sbaglia nella sua commozione bensì qualsiasi altra Terra dovrebbe esistere per accogliere i suoi “don chisciotte”.
Ne sentiamo il bisogno, l’esigenza, ma ritornando a De Unamuno la Francia è nata per far vivere Madame Bovary e per farla descrivere da Gustave Flaubert? E l’Italia, per Dante e la sua esiliata vita e Commedia?
Noi tutti, inglesi, tedeschi, italiani etc. sentiamo l’exis della redenzione della nostra vita miserrima: non ci si batte per magliette firmate, auto, per divi usa&getta… saltiamo in groppa al nostro ronzinante e diventiamo paladini di ideali ma diffidiamo dei politici anche se non più in orbace perché essi, pur abusando del nobile cavaliere, pietrificano la verità; diffidiamo dei “don chisciotte” capitani d’industria… hanno mezzi, giornali, condizionano il consenso delle masse per le loro battaglie interessate: Don Chisciotte è solo, puro, disinteressato, è l’idea incarnata dell’idealità: del mondo come dovrebbe essere.
Il nostro cavaliere è un’idea pura, l’eidos non sensuale, fuori da ogni profitto, che è immersa nella sua originaria realtà. La grande verità di Don Chisciotte s’è ripetuta nella storia, non è nato invano: morti e torturati per le proprie idee, per la loro realtà, tribolati dal dissidio tra Res ed Oggetto, Res e Mondo, senza che dietro si intraveda un affare più o meno lucroso.
La follia di Don Chisciotte disturba: è “matto”, ci si dice, per aggiustare con toppe le nostre farisaiche coscienze.
Ma l’arte combacia con la vita: e ritroviamo madame Bovary ovvero Gustave Flaubert. Entrambi incapaci di vivere, la non possibilità di attuare un progetto pena il fallimento. Perché ciò che ci riguarda è così strettamente personale da escludere gli altri, soprattutto i "buoni" farisei, cominciando da Homais.
Flaubert prepara dall’inizio il suicidio di Emma, bella e fragile quanto sognatrice ad occhi aperti, con quegli occhi tanto bruni da parere neri. Ma Emma è l’unica che si meriterebbe la vita vera almeno nel romanzo: Homais, Binet, Lrireux, il notaio, dovrebbero uccidersi ma loro coscienza è superficiale; come acqua a primavera scorre in superficie. Non sa vivere Emma: tale è la sua colpa perché vive nella sua Res fatta di sogni che mai potrà assaporare.
Vive perdutamente e perennemente in un rêve ad occhi aperti. L’adultera Emma scopre che l’adulterio non è così eccitante, anzi è più meschino della noia del suo matrimonio. Passato il desiderio di possedersi, subentra la meschinità. Ma Emma non cerca l’adulterio, cerca un uomo con cui sognare (Rodolphe o Léon, ile e senza sangue o il primo, incallito libertino). Il sogno è più vero del mondo, ripetiamo con Calderon de la Barca, più vero dell’oggetto nauseante che è tutta la mediocrità di chi l’attornia.
Si noti la scena ultima, quella del notaio legato al vile usuraio: il notaro cinge la vita di Emma, la vuol possedere: chiuderà un occhio sul danaro, le darà un attimo di tregua:
C’è il denaro, simbolo borghese della potenza, c’è l’usuraio, c’è il mondo venduto al miglior offerente con uomini e donne inclusi.
Dov’è la “cosa” heideggeriana? La coscienza originaria di Husserl? Non bisogna leggere madame Bovary con lenti erotiche: non funziona: Emma non cerca avventure, cerca invece un mondo che non esiste, meglio ancora, è solo nella sua anima. “Mistico amore” dell’eroina di Flaubert stretta parente di Don Chisciotte:
Homais, l’impunito, il benpensante, l’interessato amico dei Bovary durante la tragedia, invita nella sua farmacia-pensione a pranzo due medici per la sua meschina gloria.
Homais è il mito enciclopedico scaduto, scarnificato e ridotto a frasi convenzionali ed opportuniste.
Ritorneranno i grandi come Proust e il tempo e l’intuizione, Kafka e il suo mondo eppoi Musil dove amaramente nel suo Uomo senza qualità, rende scarna la meschinità dei benpensanti. Se l’umanità, mi par che dica, avrà potere di pensare e sognare, darà come frutto un mostro sessuale e un po’ idiota. De hoc satis, credo.