Il brigantaggio nel Mezzogiorno d’Italia

Malviventi, criminali o paladini dei più poveri e diseredati?

Fenomeno tra i più studiati
Uno degli aspetti più dibattuti degli ultimi due secoli della storia italiana – del Mezzogiorno d’Italia, in particolare – è legato al fenomeno del brigantaggio.
Di questo fenomeno, certamente tra i più affrontati e approfonditi dagli storici, esamineremo l’origine e le cause, esclusivamente per i risvolti indispensabili a farne la premessa per un’incursione più dettagliata nell’avvincente mondo delle brigantesse.
Spesso trascurate, molte volte sottostimate nel loro ruolo, in alcuni casi addirittura sconosciute, le brigantesse hanno svolto compiti tutt’altro che secondari, talvolta di chiara preminenza, all’interno del movimento.


La nostra attenzione s’indirizza prevalentemente verso il brigantaggio post-unitario, benché il fenomeno, in forme e dimensione differenti, sia esistito praticamente da sempre – lo troviamo già nell’Antica Roma, ma anche nel Medioevo e così pure nelle fasi storiche italiane successive – diffuso in regioni diverse da quelle meridionali che ne sono state la “culla” per eccellenza. Sempre prima che si compisse l’Unità d’Italia, nel 1821, Re Ferdinando I emise un decreto reale contenente norme severissime per la repressione del brigantaggio nei territori del Regno di Napoli.

Perché il brigantaggio
Nonostante, come detto, l’origine e le cause del brigantaggio siano molteplici, tuttavia su un aspetto sembrano concordare gli studiosi: la miseria. Il comune denominatore e la ragione fondante di ogni rivendicazione e di ogni iniziativa.
Francesco Saverio Nitti (Melfi, 1868 – Roma, 1953) – economista, saggista, Presidente del Consiglio del Regno d’Italia e più volte ministro – riteneva che il brigante, in gran parte dei casi, si rivelava un paladino del popolo e simbolo di rivoluzione proletaria: Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Ciò spiega quello che ad altri e a me è accaduto tante volte di constatare; il popolo delle campagne meridionali non conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori dell'unità italiana, ma ricorda con ammirazione i nomi dell'abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro più recenti imitatori .
E Giustino Fortunato (Rionero in Vulture, 1848 – Napoli, 1932), grande meridionalista, storico, più volte deputato del Regno d’Italia, considerava il brigantaggio un movimento spontaneo, storicamente rinnovantesi ad ogni agitazione, ad ogni cambiamento politico, perché sostanzialmente di indole primitiva e selvaggia, frutto del secolare abbrutimento di miseria e di ignoranza delle nostre plebi rurali .

Perché il brigantaggio post-unitario
Con la nascita del Regno d’Italia, nel 1861, ma anche prima con l'arrivo di Garibaldi a Napoli, nelle ex province del Regno delle Due Sicilie si moltiplicarono le insurrezioni popolari. A conferma e ampliamento di quanto già riferito, le cause principali del brigantaggio post-unitario possono essere ritenute: il peggioramento delle condizioni economiche; l'aumento delle tasse e dei prezzi di beni di prima necessità; l’opportunismo dei ricchi proprietari terrieri e l’accentuarsi della questione demaniale.
I briganti del periodo erano principalmente persone di umile estrazione sociale, ex soldati dell'esercito delle Due Sicilie ed ex appartenenti all'esercito meridionale, ma vi erano anche banditi comuni, oltre che briganti già attivi come tali sotto il Regno di Napoli. La loro rivolta fu incoraggiata e sostenuta dal governo borbonico in esilio, dal clero e da movimenti esteri come i carlisti spagnoli (partigiani di don Carlos di Spagna).


I briganti più conosciuti
Numerosi sono i briganti passati alla storia. Carmine “Donatello” Crocco, originario di Rionero in Vulture (Basilicata), è stato uno dei più famosi del periodo post-unitario. Egli riuscì a radunare sotto il suo comando circa duemila uomini, compiendo scorribande tra Basilicata, Campania, Molise e Puglia, affiancato da luogotenenti come Ninco Nanco e Giuseppe Caruso. Da menzionare anche il campano Cosimo Giordano, brigante di Cerreto Sannita, noto per aver preso parte all'attacco e al massacro di alcuni soldati del regio esercito, accadimento che ebbe come conseguenza una violenta rappresaglia sulle popolazioni civili di Pontelandolfo e Casalduni, ordinata dal generale Enrico Cialdini. E ancora: Luigi “Chiavone” Alonzi, che agì tra l'ex Regno borbonico e lo Stato Pontificio; Michele “Colonnello” Caruso, uno dei più temibili briganti che operarono in Capitanata; l'abruzzese Giuseppe Luce della Banda di Cartore.
Collocati in un’epoca certamente pre-unitaria, ma altrettanto noti per le loro imprese, sono: Cesare Riccardi (abate Cesare) che imperversò con la sua banda nella zona del Vulture grazie alla copertura offerta da frati e feudatari; Angelo Duca (Angiolillo), considerato da Benedetto Croce una sorta di moderno Robin Hood, emblema di un brigantaggio sociale per le sue azioni a difese dei poveri.

Repressione militare e leggi speciali
Non mancano studiosi che valutano il brigantaggio alla stregua di una guerra civile, mentre altri si spingono a definirlo – non senza suscitare perplessità e critiche – un vero e proprio movimento di resistenza alla istituzione. In ogni caso, fu soffocato con metodi brutali, tanto da scatenare polemiche persino da parte di esponenti liberali e politici di alcuni stati europei. Per acquietare la ribellione meridionale, infatti, furono necessari massicci rinforzi militari e promulgazione di norme speciali quali la legge Pica, rimasta in vigore dall'agosto 1863 al dicembre 1865.
Il brigantaggio venne sconfitto, sia pure al prezzo di un diffuso spargimento di sangue e di migliaia di morti. Al raggiungimento di questo risultato contribuì anche il cambiamento di atteggiamento dello stato Pontificio, che dal 1864 non fornì più appoggio ai briganti, arrestando lo stesso Carmine Crocco che cercava rifugio nel suo territorio.

Criminali o eroi?
Dei briganti rimane, nell’immaginario generale, una rappresentazione controversa: furono malfattori, malviventi e criminali o paladini dei più poveri e diseredati, capaci di imprese delittuose (i loro crimini erano piuttosto violenti e crudi: rapine, omicidi, abigeato, stupri) pur di affermare un loro principio di giustizia?
Comunque sia, soprattutto al Sud, riscuotevano grande ammirazione da parte del popolo che ha tramandato le loro storie di generazione in generazione, facendone in alcuni casi dei veri e propri eroi.
Nel contesto sopra descritto trovarono posto anche le brigantesse. Di queste donne – più numerose di quanto si possa immaginare – cominceremo ad occuparci dal prossimo numero del nostro periodico.

Posted

05 Aug 2024

Storia e cultura


Duilio Paiano



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