Filomena Pennacchio: spietata ma capace di redimersi
Avventure amorose, tradimenti, freddezza e crudeltà nel condurre le azioni brigantesche, piglio da condottiere, pronte anche a pentirsi. Sono alcune delle peculiarità che abbiamo già attribuito ad alcune donne briganti e che ritroviamo anche in Filomena Pennacchio.
Filomena nasce nel 1841 in una modesta famiglia di San Sossio Baronia (Avellino) e fin da ragazzina è impegnata nei lavori più umili per incrementarne i miseri guadagni. Rimane presto orfana dei due genitori e nel 1862 conosce Giuseppe Schiavone (Sant’Agata di Puglia, 1838), famoso brigante che l’arruola nella sua banda. Tra i due è subito profondo amore. Il suo temperamento non tarda a manifestrasi allorché, nelle campagne di Trevico, sgozza il bue di una donna che si rifiuta di consegnare a Schiavone denaro e oggetti d’oro in suo possesso. L’anno successivo partecipa all’uccisione di 10 soldati italiani della I Compagnia del 45^ Reggimento Fanteria.
La storia d’amore con Schiavone si conclude presto e tragicamente per l’intervento di un’altra donna, Rosa Giuliani, che sentendosi tradita da questi per Filomena, si vendica rivelando alle truppe sabaude il nascondiglio della banda e ne favorisce la cattura. Schiavone viene processato e fucilato: è il mese di novembre 1864. Filomena si salva perché, incinta, si trova a Melfi in casa della sua levatrice.
Rimasta sola, in attesa di un figlio e angosciata per la perdita del suo uomo, Filomena decide di arrendersi non senza essersi prima resa protagonista della delazione che fa scoprire il covo della banda Sacchitella. Dopo la nascita di un maschietto viene fatta prigioniera, processata e condannata a 20 anni di lavori forzati (poi ridotti a 7 per buona condotta) che sconta presso il carcere di Fenestrelle.
S’inserisce a pieno titolo nella società civile, studia e s’istruisce. Nell’aprile 1883, ha ormai 42 anni, sposa un uomo benestante di Torino e si dedica all’accoglienza e all’assistenza di orfani, poveri e carcerati. Si spegne nel capoluogo piemontese nel 1915, all’età di 74 anni.
Serafina e Maria Teresa Ciminelli, due sorelle alla macchia
Le vicende delle sorelle Serafina (1841) e Maria Teresa Ciminelli (1845), originarie di Francavilla in Sinni (Potenza), rappresentano forse un unicum nella variegata storia del brigantaggio al femminile, soprattutto per la capacità di coinvolgere nelle loro imprese anche il fratello Fiore (1846), i genitori Domenico e Maria Luigia Ferrara.
Serafina si unisce al famigerato e sanguinario bandito lucano Giuseppe Antonio Franco, l’asseconda e condivide con lui imprese, disagi e pericoli prolungatisi per circa quattro anni. Quando, braccati, tentano di espatriare, sono traditi da un capitano della Guardia nazionale che credevano amico ma che, in realtà, favorisce il loro arresto.
Giuseppe Antonio Franco, condannato a morte, è fucilato il 30 dicembre 1865; Serafina muore nel giro di qualche mese, vittima di setticemia contratta nel carcere di Potenza.
Più lunga e meno tormentata l’esistenza di Maria Teresa che, andata in sposa al contadino Vincenzo Manieri, è catturata dalla Guardia Nazionale nel febbraio del 1864, unitamente al padre e al marito. Dopo dieci anni di reclusione, rientra a Francavilla in Sinni e vi rimane fino alla morte sopraggiunta alla veneranda età di 86 anni.
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Elisabetta Blasucci e Arcangela Cotugno: vita in comune ma destini diversi
Elisabetta Blasucci (Ruvo del Monte, 1834) e Arcangela Cotugno (Montescaglioso, 1822) si ritrovano spesso accomunate nelle azioni delittuose condotte dalle bande dei loro uomini che inizialmente seguono i briganti Carmine Crocco e Josè Borges nelle scorrerie del 1861 attraverso la Basilicata.
Elisabetta è già vedova del contadino Michele Scottini - dal quale aveva avuto quattro figli - quando si lega al compaesano Giovanni Rubertone, componente della banda di Nicola Mazzariello. Avendo “collezionato” una lunga serie di crimini, Elisabetta e Giovanni decidono di porre fine alla scomoda vita di macchia. Devono fronteggiare, però, l’ira di Mazzariello che tenta di ucciderli a fucilate. Pur di evitare una tragica fine, i due si costituiscono e affrontano il processo.
A Elisabetta viene comminata una pena di dieci anni di lavori forzati ma muore dopo pochi mesi. Non si hanno, invece, notizie certe sulla fine di Giovanni Rubertone.
Arcangela Cotugno sposa il bracciante suo compaesano Rocco Chirichigno “Coppolone” che diventa brigante in quanto deluso per non essere stato destinatario di terre demaniali.
Arcangela si unisce a lui: in paese non è ben vista, sospettata di svolgere attività di manutengola. Superati i 40 anni e provata dalla lunga clandestinità, nel maggio del 1864 si ammala gravemente e si costituisce: processata, è condannata a 20 anni di lavori forzati.
“Coppolone” muore il 22 febbraio del 1865 per una ferita procuratasi in un conflitto con la Guardia Nazionale.
Maria Capitanio, il coraggio fino al suicidio
Maria Capitanio, nasce a San Vittore del Lazio forse nel 1848, o forse nel 1850. A soli quindici anni s’innamora di Antonio Luongo, operaio delle ferrovie divenuto brigante, che frequenta e segue negli spostamenti e nei nascondigli con la sua banda.
Sposa presto Antonio e il matrimonio rimane uno dei momenti più significativi di una vita tanto breve quanto intensa, vissuta dalla Capitanio con coraggio e spavalderia.
La troviamo nella battaglia di Monte Cavallo, in Terra di Lavoro, nel 1868, e con lei anche Gioconda Marini e Carolina Casale, donne di grande valore che si battono fino a essere incatenate, catturate e ridotte in prigionia.
Quando il suo uomo viene ferito a morte in un violento scontro a fuoco con alcuni carabinieri, Maria Capitanio gli subentra e giura di vendicarlo.
Rimane il mistero sul luogo e sulla data della sua morte, benché appaia molto probabile che se la sia procurata ingerendo dei frammenti di vetro.
Prima di morire, tuttavia, affronta il processo presso il Tribunale di Isernia. Il padre le procura testimoni “accondiscendenti” che riescono a farla prosciogliere da ogni accusa, versando una cauzione di 1.500 lire dell’epoca. Va incontro alla fine ancora giovanissima: i pezzi di vetro ingeriti non le concedono scampo.
La nostra rapida carrellata attraverso l’affascinante ma inquietante mondo delle brigantesse si conclude con Maria Capitanio. Oltre a quelle di cui ci siamo occupati in queste pagine meriterebbero un cenno anche Luigia Cannalonga, Maria Rosa Marinelli, Mariannina Corfù, Chiara Nardi, Filomena Pennarulo, Luigina Vitale, Maria Lucia Nella, Maria Consiglio, Filomena di Pote, Maria Orsola D’Acquisto, Maria Pelosi, e altre ancora. Tutte protagoniste indiscusse, nel bene e nel male, di una stagione di ideali controversi e ancora oggi da chiarire definitivamente.