Le parole della Grande Guerra

Una rivoluzione linguistica avviata nelle trincee del primo conflitto mondiale

IL CONTATTO TRA GIOVANI DI REGIONI DIVERSE
A pronunciarle o ascoltarle oggi, parole come cecchino e imboscato non suscitano alcuna mera-viglia. Difficilmente, però, riusciremmo a risalire alla loro origine, così come di tantissime altre che appartengono al corposo complesso delle parole e delle locuzioni della lingua italiana che hanno preso forma nelle trincee della Grande Guerra, nel periodo tra il 1915 e il 1918.

Questo evento – drammatico per l’enorme numero di vite umane sacrificate – ha lasciato in eredità diversi interessanti aspetti che esulano dalla prospettiva strettamente militare coinvolgendo ambiti diversi, soprattutto culturali. Uno di questi è la lingua italiana, per effetto del glossario che hanno contribuito a creare le relazioni tra soldati provenienti dalle diverse regioni del Paese, con un bagaglio gergale molto limitato. Per la prima volta un’intera generazione di giovani – in possesso di un’alfabetizzazione appena accennata, in alcuni casi inesistente – si è ritrovata a vivere una comune, dolorosa esperienza. Il contatto tra questi giovani ha determinato la creazione di neologismi quasi sempre derivati dalla deformazione delle parole pronunciate o dall’intreccio delle stesse tra di loro.
Numerosi anche i lemmi relativi ai mezzi con cui il conflitto veniva combattuto e che facevano la loro comparsa per la prima volta sulla scena bellica.
Vanno considerati, inoltre, i cosiddetti forestierismi, vocaboli nati dal contatto col nemico, in particolare con i prigionieri di guerra che con i nostri soldati instauravano una sia pur sbrigativa relazione orale.

ALFREDO PANZINI E IL SUO "DIZIONARIO MODERNO"
Dunque, il conflitto mondiale 1915-18 ha condizionato in maniera importante le abitudini della comunicazione linguistica. Sono le “parole della Grande Guerra”, “inventate” nei lunghi e drammatici giorni di trincea. Molti di essi, occorre precisare, si sono dimostrati effimeri e hanno vissuto poco più che “lo spazio di un mattino”.
Tra i lavori più rappresentativi dedicati a questo aspetto, va segnalato il Dizionario moderno di Alfredo Panzini (1863-1939), forse la più significativa tra le ricerche che affrontano le tematiche lessicali attribuibili al periodo del primo conflitto mondiale. L’opera consente di ricostruire la visione panziniana della Grande Guerra, trasferendo nelle definizioni in essa contenute angoscia e dubbi sulla necessità e sullo svolgimento del conflitto.

GLI “SBAFFAPATATE” E LE TESTE DI MORTO
Il letterato marchigiano non ha proposto un puro e semplice elenco di vocaboli in ordine alfabetico, ma si è preoccupato di organizzarli in gruppi coerenti con il contesto bellico in cui sono maturati.
Procedendo per esempi, nel settore degli armamenti e degli strumenti legati alla Guerra, troviamo: aeroplano, velivolo, antiaereo, bomba a mano, lanciafiamme, pistola mitragliatrice, sommergibile, sottomarino. Strettamente connessa a quella degli armamenti è la parte del Dizionario relativa al combattimento, con termini molto utilizzati tanto nel giornaliero bollettino di guerra quanto nelle cronache giornalistiche: accorciare o rettificare il fronte, avanzata, baracchino, camminamento, colpo d’ariete, concentramento (campo di), falciare, attacco frontale, fronte unico, fuoco martellante, raffica, settore, sferrare, spallata, trincea.

Tra gli appellativi assegnati ai nemici austriaci e tedeschi, troviamo sbaffapatate, per la loro predilezione di mangiare tale alimento, e mangiasego, dal grasso animale largamente impiegato nella cucina austriaca. Il soldato austriaco, a sua volta, chiamava i colleghi italiani mandolinisti.
Nutrito il gruppo di parole e locuzioni della quotidianità: calmierare, caroviveri, fila (richiamo alla “schiera” davanti ai negozi per ottenere la razione di alimenti), mobilitazione civile, pane integrale, politica dei consumi, prestito di guerra, razionare e razionamento, saccarinato, sopraprezzo di guerra, sopraprofitti di guerra, tesseramento. Ma anche: limitazione dei consumi, stringere la cinghia.

Si ricorreva diffusamente all’ironia, nonostante le condizioni di pericolo e lo scoramento che coglieva i giovani soldati della Grande Guerra, manifestando risentimento verso i “superiori” o i carabinieri addetti al rispetto della disciplina: Caproni, oltre all’evidente richiamo all’ovino provvisto di corna, rinvia al nome di un velivolo da bombardamento “esordiente” proprio in quel conflitto; calamai, sta a indicare l’arma preferita dagli ufficiali del Commissariato; testa di morto, il distintivo dei promossi per merito di guerra; trincea Cadorna, nella quale era difficile evitare la morte, dal nome del generale Capo di Stato Maggiore, spesso accusato di avere scarsa considerazione per la vita dei soldati; villa Cadorna, cimitero di guerra.

E per quanto riguarda i carabinieri erano usuali espressioni quali angeli custodi, fratelli (i carabinieri pattugliavano sempre in coppia), oppure lettera con quattro carabinieri (la lettera assicurata coi quattro sigilli agli angoli e il quinto in mezzo, come carabinieri, appunto).
Ritornando a cecchino e imboscato va chiarito che il primo ha assunto il significato di “tiratore scelto” e ha un’allusione a Cecco Peppe, soprannome dell'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria; imboscato, invece, qualificava un soldato che per sottrarsi al combattimento si disperdeva nei boschi. Ciclamino era un suo sinonimo, con evidente richiamo al delicato fiore che cresce all’ombra dei boschi.

DALLA GRANDE GUERRA AI SOCIAL
Quello che abbiamo raccontato, sia pure per sommi capi, è un fenomeno culturale di grande significato che ci porta indietro nel tempo di oltre cento anni e che, soprattutto, “prende” l’anima ed emoziona per le modalità e le circostanze in cui si è sviluppato. L’arricchimento della nostra lingua è continuato nei decenni successivi, sia pure attraverso meccanismi diversi. Le edizioni dei dizionari della lingua italiana continuano ad essere integrate con ricorrenti “aggiornamenti” che interessano il parlare e lo scrivere. Pensiamo alle numerose “voci”, riconducibili soprattutto alla creatività dei più giovani, che percorrono le infinite vie dei social: costituiscono uno “slang” che sembra non avere limiti di fantasia, impetuoso e risoluto com’è. Per non dire degli anglicismi e dei francesismi (eredi dei forestierismi di cui abbiamo detto) che continuano a “invadere” il recinto della lingua italiana con baldanzosa continuità. È il risultato della globalizzazione che, tra le tante, ha anche una ricaduta sulla lingua e, quindi, sul nostro vivere giornaliero.

Posted

20 Nov 2023

Storia e cultura


Duilio Paiano



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