La Pasqua, si sa, è il completamento del Natale, perché il 25 dicembre il Sole pagano nasceva e il Sole cristiano nasce, ma il perché della nascita di Cristo si ritrova proprio nei significati della Pasqua. Dopo Natale si festeggia Sant’Antonio Abate, che, come data, apre le danze del Carnevale; quest’ultimo muore e si appende la Quarantana, o se volete la Quaresima, madre-sposa-sorella di Carnevale, nel mito pagano, la Madonna Addolorata nella religione cristiana.
Gioco a “tozza-l’uovo”
La Quarantana era una pupa nera sotto la quale si inseriva un arancio (o una patata) nella quale, torno torno, si infilavano sette penne di gallina, sei nere ed una bianca.
Ogni settimana di Quaresima si toglieva una penna, fino ad arrivare alla penna bianca della Settimana Santa. La Quarantana si bruciava perché era finita la Quaresima e ci si preparava a vivere la Pasqua. Interessanti i riti del Giovedì Santo, quando si portavano in chiesa i Sepolcri, che erano delle pianticelle cresciute al buio. Esse erano i Giardini di Adone, che dimostrano come la Pasqua cristiana si sia innestata su quella pagana dell’antica Grecia e dell’antico Oriente.
La Pasqua, non molti anni fa, si celebrava il sabato alle 12:00 e non la domenica. A Vico del Gargano, realtà nella quale le tradizioni si sono conservate meglio che altrove, celebravano la Messa “Pazza”, che già nel nome ci ricorda la divinità Dioniso e si cantava “Viva La Croce”, dopo aver bevuto abbastanza vino in modo da liberare i freni e poter cantare a squarcia gola (messi in circolo).
Intanto tutte le chiese della provincia tenevano sul crocifisso di Gesù un panno e le campane erano “legate”. Come si sentiva nella messa pasquale il “Gloria”, le campane si scioglievano, cadeva il velo e la gente piangeva di gioia. I sacerdoti ed i ragazzi facevano un sacco di baccano con campanacci, battendo oggetti vari con dei bastoni, suonavano le “taccolelle” (strumenti ritmici provvisti di manico per farle ruotarle e di maniglie che girando, da una parte e l’altra dei fermi, battevano sul legno). Nelle case era la stessa cosa perché Cristo era risorto e il demonio doveva essere cacciato via col rumore. Intanto nelle chiese liberavano ogni sorta di uccelli, colombe, che durante la messa pasquale volavano a piacimento in ogni angolo della chiesa.
Nelle campagne di Lucera, chi aveva operato un innesto in primavera, al canto del “Gloria” tagliava i legami che mantenevano l’innesto e anche quella era, per la pianta, una sorta di liberazione.
Venivano in tutta la provincia benedetti, e poi mangiati, dei dolci buonissimi, che a differenza di quelli invernali erano ricchi di uova. Si preparava l’immancabile pizza di ricotta, i “mustaccioli”. Alcuni dolci caratteristici avevano la forma del panierino, al quale si collocavano delle uova sopra, fissati con strisce di pasta, come si fa per le crostate, in alcuni paesi si chiamavano “caprii”, in altri “pizze-palumme”. Si preparavano le “squarcelle”, a volte anche con l’uovo sopra, sui Monti Dauni si faceva la “pupa” ed eventualmente il “pupo” con l’impasto dei dolci pasquali (la “puparata”).
A Sannicandro Garganico si preparava, sempre con l’impasto per dolci pasquali, la “pupa” e il “cervone”, che a me ricorda molto il rito pelasgico della creazione del mondo.
Quando il mondo e l’universo non c’erano la dea Eurinome, che era sola, si mise ballare una sorta di tarantella sempre crescente nella velocità, che diventava sempre più vorticosa. L’aria, mossa dalla dea, diede vita al serpente Borea, che chiamò Ofione. La dea venne presa da desiderio sensuale e continuò a ballare, non più per riscaldarsi, ma perché aveva l’idea di accoppiarsi. Il ballo era sensualissimo e Ofione, essendosi eccitato, si accoppiò con la dea. Erinome a quel punto prese le sembianze di una colomba e depose l’uovo cosmico, dal quale uscirono tutte le cose del creato.
Tornando alle tradizioni pasquali possiamo ricordare il gioco con il quale i ragazzi si intrattenevano la mattina nella piazza centrale del paese: “Tozza l’uovo”. Ogni ragazzo, con la punta dell’uovo (cioè la parte maschile) batteva forte sulla punta dell’uovo di un altro ragazzo, se riusciva a romperlo era l’uovo dell’avversario era suo. Il vincitore si preparava così, se voleva, un gigantesco zabaione, ma era più facile che usasse quelle uova per fare delle frittate da portare alla Pasquetta il giorno dopo, quando la frittata era la regina del desinare, coerente con simbolismo pasquale dell’uovo. La Pasquetta, poi, era sempre motivo di incontro tra ragazzi e ragazze.
In alcuni paesi, tipo Monte Sant’Angelo, su un piano inclinato i bambini e i ragazzi facevano rotolare le rispettive uova, chi riusciva a toccare l’uovo di un compagno lo vinceva.
A tavola, come antipasto pasquale, si preparava il “benedetto”, dove figuravano fette di salsiccia e di salame, uova lesse tagliate in modo che l’albume cotto contornasse il tuorlo, componendo un simbolo solare, l’arancio tagliato a fette in modo da mostrare i raggi, la ricotta. Il tutto veniva benedetto dal capo di famiglia con l’acqua santa e con un rametto di palma, benedetto nel giorno delle Palme. È chiaro che di tradizioni ce ne sono molte altre, ma il mio obiettivo, è stato quello di comunicarvi il senso della gioia col quale si viveva la festa religiosa più importante dell’anno: la Pasqua.