Sulle sue origini non ho notizie certe, neppure che sia realmente esistito. Da quel che si racconta, pare non avesse un mestiere definito, visto che è descritto a volte “candenière”(vinaio) a volte “paretàre” (costruttore di muri a secco), ma si adattava a fare qualunque lavoro gli si proponesse, anche se non ne aveva le capacità. Di questo strambo personaggio, collocato dalla trasmissione orale della città agli inizi del secolo scorso, si raccontano storie ed aneddoti che mi permetto di riferire così come le ho sentite raccontare.
Si dice che “Zze Pìtte” fosse proprietario di una “Candìna”( bettola dove si vendeva il vino) neppure molto frequentata e che fosse un accanito bevitore, tanto da tornare spesso a casa ubriaco. Una certa notte si presentarono a casa sua, “nu subbràne sòbb’a lla chjànga de l’òre”( al piano rialzato di un rione della città), “li dazzière”( funzionari del dazio) che gli chiesero di scendere giù per conferire con loro. Ma essendo tornato a casa ubriaco, a questa richiesta egli rispose: “na nge pòzze scènne, àgghje fàtte tanda pe nghjanà. Ce vvulìte?” (non posso scendere ho fatto tanto per salire; che volete? ) Alla successiva richiesta del registro di carico e scarico del vino egli rispose: “ìe me la càreche e ìe me la scàreche” (io me la carico e io me la scarico) sicuramente riferito alla “pèdda ca s’èra carecàta”( alla sbornia che si era preso).
In un’altra occasione “Zze Pìtte”, questa volta nella veste “de paretàre” (costruttore di muri a secco), si racconta fosse stato incaricato di costruire, nella casa di campagna di un amico, un focolare. Ma non essendo egli capace di lavorare le pietre, le aveva messo su alla bell’e meglio una sull’altra e il focolare non aveva la dovuta stabilità. Quando egli si accorse che il tutto era sul punto di crollare chiamò il proprietario della casa e mostrandogli l’opera lo minacciò dicendo: “la cuscìna l’àgghje specciàta, pàjeme, sce nò mu stesse la sgàrre” (il focolare l'ho terminato, pagami altrimenti lo demolisco). Alla risposta negativa di questi che prendeva tempo, non avendo disponibile in quel momento il denaro per pagare egli, scostato il ginocchio che lo teneva in piedi, fece crollare la struttura di fresca costruzione, facendo l’ennesima figuraccia.
Sempre nella veste “de paretàre”, si dice che avesse costruito, in una lontana contrada di Ostuni, “na casèdda” (una casupola): ma come detto prima, non conosceva bene l’arte della lavorazione delle pietre, così al primo maltempo un angolo “de la casèdda” crollò, con sommo dispiacere del proprietario. Questi, senza dirgli dell’accaduto, lo cercò per accompagnarlo sul posto a constatare il danno. Giunti con il calesse, in vista dell’immobile, Zze Pìtte, capita l’antifona, esclamò: “ì secùre, ì stàte nu fùlmene” (sarà stato sicuramente un fulmine). La risposta del proprietario fu: “nu fùlmene, a ttè t’èra pegghjà” (un fulmine te doveva prendere) e non avendo altro modo per rivalersi, si vendicò facendolo tornare a casa a piedi.