Anna Gramegna, già docente della scuola primaria, da sempre impegnata in attività letterarie e sociali, possiede il dono prezioso di saper trasporre dei vissuti in eleganti racconti dal linguaggio perfetto e appropriato. Spesso però accade che il reale si fonda, in un connubio felice, anche all’invenzione, alla cultura, alla poesia. Ma la natura resta la grande ispiratrice. È così che ne nasce una raccolta dal titolo Pagliacci, edito da Oceano Edizioni, 2024.
Storie che nascono da esperienze vissute, spesso dolorose in cui i protagonisti velano e rivelano le loro vicende umane.
La visione del mondo è attraversata da un animismo cosmico, come nell’antica visione di Empedocle, l’amore intenso e vissuto quale stato essenziale, racconti in cui spesso i protagonisti si nascondono dietro la maschera dei propri dolori, frustrazioni, disagi, miseria, segreti, ma come i pagliacci, continuano inutilmente a sorridere.
Il mondo che Anna ci schiude è un caleidoscopio di esperienze e confessioni, di incontri imprevisti e luminosi, che possono rendere preziosa e ricca la nostra esistenza, come lo è quella dell’autrice – scrive Alessandro Lunare nella prefazione al libro – che sa raccogliere, con l’attenzione e la ricettività di una Isabelle Allende, le voci molteplici, i colori, i suoni, i profumi, i sapori, i segreti, belli o brutti, che il variegato universo dell’umano ci porge, quali doni di sapienza e saggezza.
L’Autrice confessa, con dissimulata innocenza, che spesso degli sconosciuti si sono avvicinati a lei per fargli delle confidenze, per aprirle il loro cuore. E ad Anna non resta che la comprensione dell’altro, mai il giudizio o la condanna, e pare di vedere il sorriso sommo e divino dell’Ariosto, autore dell’Orlando Furioso, che dirà dei suoi insani e perduti cavalieri: “O gran bontà dei cavalieri antichi!”
Il lettore saprà, credo, riconoscere in queste istanze, in queste voci, elargite a piene mani dai racconti che animano quest’opera, una piccola parte di sé, magari nascosta, magari trascurata, magari inconfessabile; perché il discoprirsi nell’anima altrui è sempre l’occasione, per chi sa accostarsi con sensibile partecipazione, per invenirsi, nella propria, a volte, assurda, inedita, verità.