Nel XI del Paradiso Dante scrisse di Francesco «Nacque al mondo un sol/ Come fa questo talvolta di Gange./ Però chi d’esso loco fa parole./ Non dica ascesi, chè direbbe corto./ Ma Oriente, se proprio dir vuole». Cercherò di spiegare questo mio breve contributo.
Spesso siamo indotti a pensare che nella poetica del Trecento il massimo poeta “ambientalista” sia il Petrarca per via delle sue visioni “bucoliche”. Non è, invece, così perché ancora una volta Dante è il Maestro e Sommo anche nell’amore rivolto alla Natura, alla terra, perché ha, a sua volta, come suo insegnante proprio il Poverello d’Assisi e il suo Cantico, che ne fa da padrone in tutte le terzine della Commedia.
Perché è così importante San Francesco per il Sommo Poeta? La risposta è semplice: hanno entrambi intrapreso un cammino nella sfera dell’umano, attraversato sofferenze, circostanze difficili per giungere al “divino” e Francesco si trova proprio nei Cieli, tra gli Spiriti Sapienti.
Certamente non è semplice il cammino per entrambi, però Dante sceglie come modello proprio l’Uomo che amava tutte le Creature dell’Universo e non è un caso. Il Cantico delle Creature, conservato nel codice 338 della Biblioteca del Sacro Convento di Assisi in un testo pergamenaceo che ne costituisce il primo testimone databile verso il 1243, ci mostra un’anima sensibile, innamorata della Natura. La dolcezza e gentilezza del volgare umbro del XIII secolo accompagnano musicalmente la lode all’Altissimo per avere creato ogni forma di bellezza vivente e non.
San Francesco ama e loda Dio poiché gli ha donato un “nuovo nucleo familiare” in cui ogni membro svolge una parte attiva. Nel Cantico “Sora Luna e le Stelle” sono alte e preziose; “Frate Vento e Sorella Acqua” sono umili e indispensabili; “Fratello Fuoco” è robusto e forte; nostra “Matre Terra” sostiene l’intera umanità producendo erba, fiori e frutti.
La Natura conforta l’uomo dai dolori dell’esistenza con la sua quiete, con le melodie degli uccelli che saltano di ramo in ramo, con il fruscio delle foglie, con i belati delle pecore, il rumore del vento…
San Francesco è, dunque, un ribelle puro, in grado di riformare la propria vita contro tutte le usanze del suo tempo, della sua civiltà, che lo conducevano in altra direzione. La sua è ribellione serena, lieve, realizzata nella piena consapevolezza dell’osservazione delle vicende umane. E l’umano non può estraniarsi dalla Natura, l’uomo ne è parte integrante come esempio di armonia. Francesco amava la Terra, ciò che da essa ne nasceva nel bene e nel male, ed esortava gli uomini a prendersene cura anche se si fosse trattato della morte. Francesco la chiama, infatti, dolcemente “Sorella” la quale ci svela i misteri della nostra stessa esistenza. Egli è un po’ un antesignano del “Fanciullino” di pascoliana memoria, il quale chiama tutte le cose con il loro vero nome senza timore, anzi questa semplicità gli vale ancora di più la destinazione finale: l’Essere Vero Uomo.
Il Cantico delle Creature è testo di straordinaria bellezza poetica e umana per i valori di bello e buono, di puro e innocente in esso contenuti. Essere uomo, ci spiega San Francesco nella lode al “Suo” Dio, significa cogliere i piccoli gesti quotidiani, custodire un animo puro nonostante le brutture del mondo, le falsità, i tradimenti. La risposta al male non è la chiusura ma è lo stupore del guardare, è l’amore che sempre ci mostra l’Onnipotenza e la Bontà di Dio.
Per tale ragione Dante guarda a Francesco costantemente nelle tre cantiche, lo elegge a “Maestro” silenzioso del suo riconciliarsi con Dio. Egli sa che “salire all’Altissimo” significa vivere in armonia non solo con se stesso ma con il mondo intero e quest’armonia la si incontra solo nell’ordine della vita.
Scrivere del Cantico di Francesco d’Assisi, oggi, significa accordarci con la nostra esistenza, con quella degli altri, rispettando il creato ed essere noi stessi lode al Signore.