Entro la mattina erediteremo la terra

Una riflessione al femminile su “Mushrooms” (Funghi) di Sylvia Plath

Poche poetesse sono riuscite nel panorama letterario mondiale a rendere in versi il disagio femminile in un mondo che ancora oggi ne limita la libera espressione al punto da togliere l’aria. Sylvia Plath, nata in una famiglia borghese nel Massachusetts nel 1932, è una delle poetesse più studiate degli ultimi cento anni per la complessa e intricata rete di nessi e relazioni ancestrali che emergono dal sottobosco represso della sua anima. La sensibile Sylvia, figlia e studentessa modello, vincitrice di premi e borse di studio e autrice di innumerevoli poesie che ci offrono un quadro di donna molto dotata, fu però anche costretta a fare i conti con i lati oscuri del proprio io.




Nella poesia Mushrooms (Funghi) , apparentemente fluida e scorrevole, Sylvia ci offre una metafora estesa a tutto il testo, quella dei funghi che crescono e si sviluppano senza essere notati dalla società ma con una forza e resistenza senza uguali. L’analogia è evidente: proprio come i funghi le donne lottano perché i loro diritti vengano visti e riconosciuti. Composizione, questa, tratta dalla prima raccolta di Sylvia Plath, The Colossus and Other Poems, dove riecheggiano le parole di Matteo de “I miti erediteranno la terra” in un silenzioso quanto mai inevitabile riemergere degli oppressi. Attraverso i suoi versi Sylvia riesce così a dar voce a chi purtroppo non riesce a farsi sempre sentire.

La struttura di Mushrooms segue lo stile tipico della Plath. Undici strofe di terzine in versi liberi e abbastanza equilibrate nella distribuzione delle sillabe, la poesia fa tuttavia un elevato e complesso uso di immagini, metafore, enjambement ed effetti sonori nell’utilizzo frequente di ritmo e allitterazioni. L’enjambement poi non si limita a rendere discorsivo l’argomento trattato, ma porta avanti una tesi che si pone come inevitabile, quasi a presagire un implacabile cammino femminile verso una rivoluzione della società.









I funghi, qualcosa di apparentemente triviale, si offrono nelle prime strofe nel loro lento, graduale e costante movimento. Il ritmo aumenta poco a poco mentre viviamo il loro tentativo di cercare il proprio spazio in un anelito vitale verso quell’aria che forse è stata loro tolta a lungo. Non sono visibili, pur tuttavia non si riesce a fermarne la crescita o la forza nascosta nel riuscire a sollevare i punti più nascosti. I pugni sono morbidi ma resistenti; non hanno voce, occhi, orecchie ma si impongono con le poche energie di chi è “a dieta sull’acqua”. Insistono, hanno aghi, martelli e la loro crescita è inevitabile.
Apparentemente fragili e trascurati i funghi, proprio come le donne il cui parallelismo finisce con l’apparire evidente, sono tanti, commestibili e si moltiplicano. Il “noi”, la “spalla attraverso i fori”, le briciole lasciate da una società maschile, la costante determinazione: tutto sembra anticipare un cambio epocale, una spinta verso il cambiamento definitivo della società. Scaffali, tavoli, esistenze relegate in angoli d’ombra: nulla riuscirà tuttavia ad arrestare una marcia verso una realtà al femminile: Sylvia Plath credeva fermamente che il capovolgimento fosse vicino. Le donne non sarebbero più state sospinte ad elemosinare brandelli di vita, né consumate per compiacere un universo maschile dominante. Sarà loro il compito di “ereditare la terra”, proprio come i miti e gli oppressi ma con la consapevolezza di una svolta inevitabile e quanto mai necessaria.

Posted

09 Mar 2023

Critica letteraria


Lucia Lo Bianco



Foto dal web





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