A nord della Sicilia occidentale, in osmosi con Trapani, si erge “U Munti”. Così è chiamata dai trapanesi la montagna di Erice, citata sin dal tempo dei Normanni come Monte San Giuliano per il leggendario intervento del Santo quando gli arabi furono cacciati dalla città.
Ad Erice, come tornò a chiamarsi nel 1936, gli vennero riconosciute ed acclarate le sue origini sicane ed elime, come quelle di Segesta, Entella e Longuro (sul Monte Bonifato).
I primi abitanti del luogo si stanziarono sulla cima cingendo il pagus (dal lessico amministrativo romano per indicare una circoscrizione territoriale rurale) di mura possenti rinunciando al clima mite della pianura, una scelta ricorrente fra le popolazioni mediterranee, che preferivano le alture per una difesa più agevole del territorio rispetto ai luoghi aperti, spesso prede di scorrerie e attacchi da parte di conquistatori.
Nell’antichità Erice fu sede di un celebre tempio dedicato alla dea della fecondità e della bellezza muliebre, identificata dai Fenici in Astarte, dai Greci in Afrodite e dai Romani Venere Ericina, protettrice dei naviganti e venerata, in età pagana, da tutte le popolazioni del Mediterraneo.
Secondo Diodoro Siculo (storico siceliota, Agyrium, 90 a.C. - 27 a.C.), durante l’Impero Romano, ben diciassette città siciliane dovevano versare ogni anno un tributo in oro al tempio.
Le vicende storiche d’Erice, accomunate a quelle di Trapani, hanno subito l’influsso di popoli e culture diverse, alternando nel tempo momenti di splendore a periodi di decadenza.
Quello che resta oggi, a parte l’incommensurabile bellezza dei luoghi, sono i segni e il retaggio dei secoli scorsi, come le ciclopiche mura fenicie, datate tra il VII e VI secolo a.C., sovrapposte alle antiche elime, che si snodano per una lunghezza di circa 650 metri e che si presentano, anche per i rinforzi e rifacimenti in epoche successive, imponenti e spettacolari nel loro aspetto altero.
Altre eminenti vestigia sono la Chiesa Matrice del 1314 d.C. e il millenario Castello di Venere.
Secondo Virgilio il Castello, ovvero il tempio di Venere, fu innalzato da Enea in onore della madre. Ricostruito in seguito dai Normanni, è oggetto di ricordi storici e mitologici affascinanti ed eterni.
All’interno del perimetro delle mura, disposte a forma di triangolo equilatero, risalenti nei tratti più antichi ai Fenici e, in quelli più recenti, all’epoca normanna (XII secolo), l’agglomerato urbano, cristallizzato nel tempo, è oggi uno suggestivo borgo medievale con le sue caratteristiche strade, pavimentazione a maglia di piccole basole di pietra locale e cortili adorni di piante e fiori.
Un paesaggio che induce alla vita contemplativa e alla meditazione, che contrasta meravigliosamente con la bellezza panoramica lungo l’azzurro del Mar Tirreno, delle coste, con il Monte Cofano, le isole Egadi che si stagliano all’orizzonte e con la bianca e lucente “falce”, stancamente adagiata sul mare, che mostra ad ovest Trapani nella sua millenaria esistenza.
Carlo Levi, dopo avere visitato Erice, entusiasta ne fece questa descrizione: Città medievale di pietra grigia, dalle strade selciate di pietra a disegno, dai cortili nitidi e infiorati, Assisi del Mezzogiorno, piena di chiese e di conventi, di vie silenziose, di una straordinaria concentrazione di memorie mitologiche.
Erice, perla di Sicilia, lontana dal frastuono delle rumorose e caotiche città moderne, è stata scelta come sede di una grande Comunità Scientifica: il Centro di Cultura “Ettore Maiorana”, ideato da un uomo di scienza e di fede, il fisico trapanese prof. Antonino Zichichi ormai noto in tutto il Mondo.