Francesca Luzzio, ex docente palermitana e apprezzata poetessa, ha recentemente dato alle stampe un nuovo libro, il romanzo Michela ci aiuti (Albatros edizioni). Non è la prima volta che l’Autrice si dedica al genere della prosa; in passato ha percorso questo genere con ampio plauso come nel caso della pubblicazione de I Liceali – L’Insegnante va a scuola (Genesi, 2013), una raccolta di racconti di vicende ed esperienze di vita che la stessa Luzzio ha sperimentato durante la sua lunga carriera scolastica quale professoressa, finanche la prosa d’indagine e dimensione critica, come la sua nutrita produzione di saggi tra cui ricordo l’utilissimo La funzione del poeta nella letteratura del Novecento ed oltre (Ila Palma, 2012).
Il nuovo romanzo, che è ambientato nei luoghi cari della Nostra (tra la provincia palermitana dei piccoli borghi e di quelle tradizioni e modi di fare che velocemente stanno scomparendo e il Capoluogo siciliano), risulta avvincente e il ritmo, incalzante, fa sì che la narrazione mai si perda in sotto-storie, depistaggi, racconti liminari atti ad allungare il numero delle pagine, come mero condimento addizionale. Non vi sono digressioni dalla vicenda-cardine, che è quella di un pover’uomo – una sorta di disgraziato contemporaneo o forse anche un inetto primonovecentesco – che nel giro di poco tempo si trova a dover fare i conti con gravi problemi, tanto di livello personale ed emozionale quanto di carattere economico e sociale.
La vicenda contenuta in queste pagine offre elementi per avvicinarsi a un “dramma della quotidianità” che è (e può essere) comune, del nostro vicino di casa, del nostro amico, come pure il nostro. È l’asperità della vita che la Luzzio traccia su carta annodando le tessere di un vissuto complicato e vulnerabile, tra insicurezze e lontananze, tradimenti e rimorsi, silenzi inequivocabili e lontananze dolorose, sensi di colpa e incapacità d’intervenire in maniera robusta sul corso, inafferrabile e ingiusto (com’è questo il caso) degli eventi.
Il protagonista, dopo aver perso la piccola sicurezza del sostentamento economico derivatogli dal suo lavoro che ha drammaticamente perduto, inserito in un percorso di difficoltà e dolori quali due gravi lutti familiari che ne minano profondamente la psicologia, rendendolo schiavo di fantasmi e dilemmi sul suo apparentemente impossibile futuro, non senza difficoltà riuscirà a intravedere un possibile spiraglio di luce verso le pagine conclusive del libro.
Di certo non una vera soluzione, non un sollevamento completo, una rivincita dinanzi alle tante sconfitte, ma forse un piccolo tentativo per non lasciarsi corrodere dalla sofferenza e uscire dall’isolamento. Così, quel che prima era rutinario a limiti della banalità, diventa una nuova conquista a cui tendere, pur difficile e mediata dai gravi dilemmi e dalla tristezza granitica che pervadono la sua natura di uomo.
La descrizione dei caratteri femminili contenuti nel volume (la madre, l’ex-moglie, la figlia) che, assieme al protagonista principale tendono una tela fitta di relazioni e collegamenti, è molto attenta alla componente psicologica. Il percorso esistenziale del Nostro è profondamente determinato e influenzato dalla loro presenza, tanto nel reale finché può condividere giorni con loro, quanto dalla loro risonanza continua (dopo la loro morte) negli ambienti vissuti, nei ricordi, nelle parole, negli sguardi cristallizzatisi nel tempo.
Il titolo dell’opera – Michela ci aiuti – è una sorta di motto interiore, o di karma lenitivo, che il protagonista, quale motivo di sollievo e di fiduciosa speranza, assieme all’ex-moglie ritrovata e con la quale si è ravvicinato, impiega per cercare di poter percorrere con maggior forza e naturalezza i (pesanti) passi della continuità del tempo che gli è dato.