Ancora una volta vorrei riportare all’attenzione il saggio storico Utopia – Il naufragio della Speranza, ed. del Rosone, pubblicato nel 2017 dal giornalista Duilio Paiano nonché poeta, scrittore, saggista e già presentato in più occasioni vista l’importanza della tematica affrontata e il servizio offerto alla collettività che può riappropriarsi di un pezzo della triste storia riguardante l’emigrazione dei nostri antenati.
Il volume vanta la prefazione del prof. Augusto Mastri, della University of Louisville (USA) e consta di oltre cento pagine corredate da una folta iconografia con immagini e documenti dell’epoca in cui si svolse la drammatica vicenda narrata, rimasta per lungo tempo inspiegabilmente sconosciuta.
All’autore va il grande merito – in seguito a una certosina opera di indagine, di scavo e lavoro di archivio – di averla riportata alla memoria per restituire dignità alle centinaia di vittime, tutti emigranti della nostra penisola.
A Faeto, dove io ho casa e dove mi rifugio appena posso per ritrovare me stesso, ho sentito parlare per anni di questa nave naufragata alla fine del XIX secolo con a bordo degli emigranti faetani senza che nessuno sapesse fornirmi particolari che andassero oltre il puro e semplice dato di cronaca: la data e il luogo del naufragio. Sono stato spinto a saperne di più e ho iniziato le mie ricerche: ho scoperto una miniera di notizie e di particolari inimmaginabili che, nella necessaria sintesi ma senza trascurare i passaggi fondamentali, ho riportato nel libro. La cosa che mi ha sconvolto di più è stato il pressoché generale e diffuso oblio che ha ammantato questa tragedia: nei paesi della provincia di Foggia interessati (Faeto e Roseto Valfortore) se ne parla poco e spesso in maniera superficiale e con scarsa aderenza alla verità dei fatti.
(Duilio Paiano)
Utopia – nel nome un destino? – è il piroscafo della Compagnia britannica “Anchor line” che naufragò il 17 marzo 1891 nella baia di Gibilterra e causò il numero più alto di vittime nel Mediterraneo.
La Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia notifica la partenza della nave al 12 marzo 1891 ma in effetti Utopia salpò il 7 marzo dal porto di Trieste per fermarsi a Messina e Palermo e poi giungere nel porto di Napoli il 12 marzo dove imbarcò la maggior parte degli 813 passeggeri a cui vanno aggiunti 59 uomini di equipaggio.
Destinazione il Nuovo Mondo, nello specifico New York, la terra dei sogni e delle illusioni verso cui, a partire dalla seconda metà dell’800, era diretta gran parte della popolazione italiana stremata dalla povertà e ridotta a vivere di stenti. Duilio Paiano, a riguardo, tratteggia brevi excursus di M. Galante, S. Sonnino, D. Donzella, C. Levi, F.S. Nitti. Riporto brevemente il Nitti che, riferendosi alla miseria in cui versavano gli abitanti del Mezzogiorno, scrive testualmente “o briganti o emigranti, non c’era alternativa”, puntando il dito alla esasperata “cattiveria” della classe dirigente.
Purtroppo le speranze degli emigranti imbarcati sulla nave Utopia e il miraggio della vista della “Statua della Libertà” – sogno di future opportunità – furono tranciate cinque giorni dopo la partenza, prima che la nave prendesse il largo nell’Oceano Atlantico. Nello stretto di Gibilterra in cui doveva fare scalo per rifornirsi di carburante, in seguito al peggioramento delle condizioni meteorologiche, il piroscafo urtò la corazzata britannica Anson il cui rostro provocò uno squarcio disastroso.
Erano le 18:36 di martedì 17 marzo 1891. In soli venti minuti, in cui imperversa il panico e il terrore, la nave affondò e per 576 passeggeri (così stimati), già stivati in terza classe in pessime condizioni igienico sanitarie, non ci fu scampo nonostante i soccorsi immediati in una gara di solidarietà.
Le vittime appartenevano alle regioni più disparate, la maggior parte del centro-sud. Nella tragedia morirono anche diciotto dei ventisette faetani imbarcati, e otto rosetani (FG).
Ad oggi la tragedia è semi sconosciuta seppure riportata abbondantemente dalla stampa nazionale ed estera del tempo di cui troviamo varie illustrazioni nel volume, a testimonianza.
Ho voluto scrivere questo libro per rendere giustizia alle vittime del naufragio e a tutti gli immigrati che nel tempo hanno alimentato un fenomeno sociale attraverso cui i nostri borghi si sono anche ripresi dalla miseria, grazie alle rimesse in denaro che gli emigrati inviavano a casa.
Ho anche chiesto ufficialmente di intitolare uno spazio significativo di Faeto a questi naufraghi affinché la memoria renda loro giustizia ma, soprattutto, perché il loro sacrificio venga consegnato alla conoscenza delle generazioni più giovani. Al di fuori di ogni retorica, se noi oggi siamo quel che siamo, lo dobbiamo anche alle donne e agli uomini che sono stati costretti ad abbandonare casa, paese e affetti, spesso rimettendoci la vita come nel caso dei naufraghi dell'Utopia. Sono in fiduciosa attesa...
(Duilio Paiano)
Pochi mesi fa la richiesta del nostro Autore, che peraltro ricevette nel 2011 la cittadinanza onoraria di Faeto, è stata “in parte” accolta dall’amministrazione locale. Oggi infatti visitando il piccolo borgo dei Monti Dauni, di circa seicento abitanti, ci si può fermare in raccoglimento davanti al monumento in memoria delle diciotto vittime faetane del naufragio di cui sono riportati i nominativi. Tra loro una intera famiglia, Domenico, Filomena e i loro tre figli.
Il monumento è stato donato dalla Famiglia Paiano e chissà che altri non possano sorgere nei luoghi di appartenenza di queste nostre povere vittime di “terza classe.”
Salgono in lunga fila, umili e muti,
e sopra i volti appar bruni e sparuti
umido ancora il desolato affanno
degli estremi saluti
dati ai monti che più non rivedranno.
(E. De Amicis – Gli emigranti)