Dico di Frammenti la recente pubblicazione di Marco Luppi che segna un percorso assolutamente consequenziale alla poetica precedente, in cui già si ravvisano nuove esigenze organizzative del pensiero.
All’orizzonte degli eventi – pubblicato nel 2020 – in cui lo sguardo determina la parola (sottotitolo), preannunciava già l’esigenza di un minimalismo discorsivo, della sintesi che sveste il superfluo, dell’argilla che diviene basalto, mantenendo al netto l’essenziale.
Così come predittivo ai contenuti è il titolo della sua ultima opera Frammenti, sempre Eretica Edizioni.
Cosa sono i frammenti se non i resti dell’intero, di ciò che era un unicum e non lo è più, pur preservandone le tracce. “Frammento” come testimonianza ancora viva seppur spezzata, il franto diverso dalle schegge che esplodono pluridirezionali e difficilmente recuperabili. Nel frammento, solo in apparenza vacuo o inutile, qualcosa è rimasto anche se privo della sua compiutezza e tali premesse basterebbero a capovolgere le prospettive – o rimetterle al posto giusto – per riappropriarci della sua essenza primigenia:
Il nulla è onnicomprensivo/ Identificarsi nel nulla è tutto
nel nulla tutto è ascrivile, un vuoto indefinito che può accogliere o un principio che origina, in matematica corrisponde allo zero, senza il quale i limiti sarebbero abnormi in quasi tutti i campi dello scibile.
“Questi frammenti di libro vogliono dire che io lavoro sulle rovine” (Clarice Lispector) …
ed è in quanto ancora ravvisabile tra i mucchi di macerie esistenziali che il pensiero del Nostro indaga per quadrare un bilancio “starato”, tirare le somme nude e crude in un estratto di lucida razionalità, una spremuta di mente – o onesta ammissione – che non prescinde da una solida base emotiva anzi è il materiale di risulta della sofferta coerenza perché mentire a sé stessi è sopravvivere di circostanza:
Essere se stessi significa imparare a deludere le aspettative che non ci si addicono.
In esergo al libro la dedica è “al silenzio”, esaustiva a presentare il volume, per questo con “nulla” prefazione – così come ogni pubblicazione del Luppi – aggirando tentativi dialogici in quanto espressione dei suoni muti dell’interiorità che non necessita di eccessi linguistici o fraseggi e ripudia le apparenze, i contratti a cottimo soprattutto se:
Il dialogo è un monologo di ritorno.
Silenzio come mezzo, utile a “quel nulla”, la genesi – per non perdersi tra le deraglianti apologie ipertrofiche – così come maestre sono le filosofie orientali incentrate sul “Perfetto silenzio” cui fa seguito il pensiero occidentale di Nietzsche, Heiddeger, Beckett. E come non tornare a Kafka con Il silenzio delle sirene (è più semplice salvarsi dal canto delle sirene o dal richiamo del silenzio?)
“Buttate pure via / ogni opera in versi o in prosa./ Nessuno è mai riuscito a dire/ cos’è, nella sua essenza, una rosa” (G. Caproni tratto da Concessione) …
potrebbe essere l’uguale percorso intrapreso da M. Luppi che si concede a un linguaggio esatto, mirato a una disciplina filosofica che non si perda tra le dinastie linguistiche e divenga atemporale ma in ugual modo connessa a una dimensione soggettiva, che non impone tentativi escatologici e senza alcuna presunzione di catechesi nonostante l’evangelizzazione dell’attività critica a dispetto degli epigoni apologetici imperanti. Evangelizzare il concettuale non come atto di presunzione semmai di fede, in sé stessi, a difesa dell’identità, dell’integrità e della dignità personale, per evitare il contagio massificatorio, le congetture di satelliti orbitanti attorno a un credo, elogiando la mistica terrena:
Il silenzio è/ – anche – un giudizio
Tra le pagine di Frammenti ritrovo la neghentropia razionale bisognosa di dare ordine al Chaos esistenziale velocizzato dal sistema/schema contemporaneo, dalla corsa tecnologica digitalizzata sullo sterno in cui tutto è già compiuto nell’usa e getta del vivere:
Per riuscire a ‘vivere’ bisogna saper contare sul sapersi ‘risolvere’ in qualsiasi momento
consapevole della finitudine dell’attimo e della ricerca umana
Quando hai scritto questo? – Lo sto scrivendo anche adesso…
in questo tempo in cui prima di “scrivere” era il silenzio, non come cosa morta ma magma incandescente che pervade in ribollire
Il silenzio è cosa viva (Chandra Livia Candiani, per Einaudi)
E se L’infinto nell’indefinito
non ci resta che riconoscere la limitatezza del linguaggio, l’insufficienza contemporanea come strumento apodittico nel rappresentare non solo la realtà ma la conoscenza/sconosciuta seppure rimanga il supporto comunicativo nella collisione silenzio/ pensiero/ parola
Il valore di un’idea è direttamente proporzionale al silenzio che suscita
e se l’idea per essere manifesta necessita di prendere una qualche forma, il silenzio non è l’antitesi della parola ma la fonte, nato ancor prima della luce, l’origine del pensiero, il trampolino dell’evoluzione, potando alla radice i rami ferruginosi
La Poesia deve togliere
E in Frammenti la parola diventa minima, siede in seconda fila, lasciando il posto alla critica di pensiero – Ci sono cose che esistono proprio perché nessuno vede –, uno strale per lanciare sprazzi di luce nel buio cerebrale, una saetta che si atomizza, una goccia rorida sfuggita alla pioggia che tutto trasporta, senza differenziare l’umido dalla plastica. Una falce che si fa strada nel sottobosco virale in cui tutto è uguale, uniformato dalla condiscendenza e dall’adulazione cancerogena:
L’adulazione è la cortesia del disprezzo nei confronti di chi è sprovvisto del senso del ridicolo.
Così il Nostro, di negazione in rivolta, è in marcia silenziosa
Non scrivo per evadere/ scrivo della mia evasione
chi è evaso, ha tranciato le catene, non ha più bisogno di rivoluzioni ma di viversi la conquista.
Frammenti è dunque la fuga, la lima, alambicco di engrammi extrasistoli, il richiamo animistico del pensiero in una sorta di resistenza non violenta, ligia solo a sé stessa
Più ti assomigli/ meno gli assomigli
in cui aleggia almeno una certezza
Il poeta è il primo e l’ultimo a morire
se è vero che
In realtà – fuori dal mondo della letteratura – siamo personaggi di fantasia.
Marco Luppi è nato a Guastalla nel 1976.
Vive a Mantova. Ha pubblicato Dalla parte della radice nel 2016, Proiezioni nel 2018, All’orizzonte degli eventi nel 2020, sempre per i tipi di Eretica Edizioni