Eclettica artista algerina
Una grande ed eclettica artista. Vive a Orano, in Algeria: Bouda Kheira Maria, in arte Maria Favignana Manuguera.
Modellista, stilista, decorativa: le sue creazioni ne sono una dimostrazione.
È abbastanza conosciuta, ma non quanto merita. Suo nonno, Matteo Manuguera, era di origini siciliane, nato il 24 dicembre 1887. Maria ama il suo essere per metà italiana e adora la no-stra lingua, che reputa dolce e carezzevole; a tal proposito ha sempre rimproverato sua madre che non voleva si parlasse l’italiano in famiglia, tantomeno desiderava che qualcuno l’imparasse. Ha quattro figlie, belle quanto lei: Sarah, Marwa, Hanane, Zakia.
Per la sua natura, il canto popolare è anonimo: non ha mai un autore identificato; ovvero non
è legato alla personalità di un popolo, ma ereditato da antiche tradizioni pagane
Parlare di “canti popolari” è errato. I canti del popolo infatti, non erano mai creati da uno in particolare, ma ereditati da antiche tradizioni pagane; ecco perché è più corretto definirli “canti tradizionali”. Generalmente sono canti d’amore, tema preferito dagli antichi sacerdoti pagani, che seguivano i miti e i riti di Afrodite-Venere, di Dioniso e di tantissimi altri dei che erano legati alla reli-gione dell’amore.
I canti sacri pagani erano dedicati ai matrimoni, agli amori tra uomo e donna, finanche al rovinoso distacco della coppia durante il funerale, quando la consorte salutava il proprio amore con un canto funebre.
La maggioranza degli adulti ricorda le biglie della propria infanzia, quando un’intera reputazione poteva essere guadagnata o persa
a seconda dell’abilità di tiro
Tempi addietro, i ragazzini si impegnavano in un gioco che piaceva molto: ‘O càcce, e consisteva nel cercare di far entrare una biglia nel “caccio”, una piccola buca scavata nel terreno. Chi ci riusciva, veniva nominato “cacciatore” e si divertiva a “bocciare”, con una particolare modalità di tiro, gli “allievotti” (passeri appena nati), cioè quelli che non erano ancora andati in buca e quindi non ancora “cacciatori”.
“Bocciare” un avversario, significava acquisire le sue biglie.
Mario Delli Muti di San Giovanni Rotondo, mi ha raccontato che nella zona del “Calderoso” (“Lu Calevarùse”), tra San Giovanni Rotondo e San Marco in Lamis, aveva visto e provato a suonare un “tri-flauto”, ovvero un flauto a “tre flauti” collegati tra di loro con altrettante astine.
Si tratta di un flauto ternario che ci ricorda l’essere ternario di Madre Terra-Luna.
Quando la musica curava l’anima, tra storia, tradizioni e religione, invocando “San Paolo delle tarante"
Il fenomeno del Tarantismo, e di conseguenza la tradizione della tarantella, risale all’antica Grecia che si alimentava dalla cultura hyksos (ittita), cretese, fenicia, cananea e anatolica, una mescolanza di civiltà che non ci consente di risalire con esattezza alle sue origini. Il ferreo ordinamento della società greca creava disadattati, ovvero persone che avevano problemi ad inquadrarsi nelle regole coercitive e tradizionali; per loro lo Stato metteva a disposizione una struttura che aveva il compito di aiutarli purché non interferisse con la rigida organizzazione sociale.
Un rituale del grano tra arte, devozione e ringraziamenti
Abbiamo scritto, in articoli pubblicati di recente, sulla sacralità dell’aratro e la magia del setaccio. In antichità tuttavia, anche tutto ciò che riguardava la coltivazione del grano era sacro e per questo veniva adorato il dio Grano-Sole.
Il Grano non era una semplice rappresentazione del Sole, ma tutto ciò che il Sole Notturno (Dioniso) e il Sole diurno (Apollo) potevano dare all’uomo sia come cibo che come mistero religioso. Madre Terra, che collaborava facendo germogliare, crescere e maturare il Grano, era Demetra la quale, nelle sembianze di Core e Persefone, aveva donato agli uomini non solo il Grano, ma anche i Misteri per poter risorgere e diventare un dio.
In tempi lontani era consuetudine per contadini, carrettieri o chiunque avesse un cavallo, trovare al mattino presto qualcuno con le trecce alla criniera o, più raramente, alla coda.
Non poteva essere sciolta o tagliata perché, da credenza popolare, era stata fatta dall’Uria, lo spirito protettore della casa, che lo aveva scelto come preferito (in altre tradizioni si parla di streghe e scazzamurelli che abbellivano il cavallo in quel modo).
Nella notte del Samhain vengono abbattute le leggi
spazio-temporali: il mondo dei vivi e quello dei morti sono a contatto
Il 30 ottobre è la festa di Halloween e ricorda il giorno in cui, nei paesi del nord Europa, i defunti potevano tornare sulla terra e mescolarsi insieme ai vivi. In Italia, invece, la tradizione narra che il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, solstizio d’estate, i morti entravano dalla porta solstiziale, ovvero dalla Porta degli Uomini che copriva quella del dio romano Giano (dio delle porte).
Detta anche Porta degli Dei, si contrapponeva a quella del solstizio d’inverno.
Tradizioni antiche, precristiane, relative alle festività dei morti: la calza e il grano cotto
Le tradizioni relative ai morti vanno inquadrate bene per comprendere il contesto storico-religioso precristiano. Ai morti erano dedicati i mesi di novembre e dicembre; entravano nella “realtà” dalla Porta del Solstizio Estivo, detta anche “Porta degli Uomini” (ed in particolare alla festa di San Giovanni, che copriva l’antica figura di Giano, il dio delle Porte) in compagnia delle streghe.
Con la “setella” si “indovinava”. La usava il popolino, ma la usavano anche maghi e pseudo-maghi. Col questo attrezzo si poteva infatti “indovinare” quello che si voleva. Ad esempio, che risultato avrebbe avuto un processo, se vinceva o meno la squadra del cuore.
Il popolo lo usava, quasi esclusivamente, per scoprire chi aveva rubato dei soldi, animali, gioielli; la miseria era tanta ed essere derubato del cibo poteva anche significare non mangiare per giorni.
Un amuleto della tradizione dei terrazzani foggiani contro l’invidia
Anticamente quando una terrazzana foggiana allattava un bambino, gli metteva al collo una collana con mascelle (“garze”) di riccio.
I terrazzani erano grandi cacciatori di riccio. Era una caccia facilissima, fortemente tradizionale e produttiva, per le caratteristiche, per le simboliche dell’animale e soprattutto per la bontà e prelibatezza della sua carne.
La caccia alle rondini era, in un passato non molto lontano, una caccia per adulti; questo in tempi di necessità, di fame, quando pur di mangiare carne si uccidevano anche cani e gatti. Per ragazzi un gioco di primavera che ha tramandato questa antica tradizione fino ai giorni nostri
Prendevano l’arma, il roscilillo (‘u ruscelìlle), che era una mazzetta con la parte inferiore fissa (il manico) e una superiore che ruotava (una rondella di legno girava attorno ad un’asta di ferro). A quella superiore che ruotava, si agganciava un’elica di zinco che, durante la veloce rotazione, volava in cielo.
Si imprimeva un movimento rotatorio come si faceva con la trottola per mezzo di una cordicella fatta di tanti fili colorati intrecciati, costruita dai ragazzi stessi con un sistema di tessitura geniale e, forse, molto antico.
Si facevano indossare ai bambini. Da adulti avrebbero avuto il potere di far passare il mal di pancia
Una tradizione era molto radicata a Monte Sant’Angelo e a Mattinata (da sempre parte di Monte Sant’Angelo, da poco comune autonomo), quella delle “scarpette del lupo”.
Sul Gargano, in tempi remoti, viveva il lupo, soprattutto nella Foresta Umbra che confinava con la città di San Michele Arcangelo, l’angelo cristiano che copriva la divinità pagana legata al Sole, cioè Apollo (ma anche Perseo, Elio, Orione, Horo egizio).
Una leggenda da cui trae origine la festa patronale ad Ascoli Satriano che unisce la grande devozione ad iniziative folkloristiche che trovano le loro origini nella tradizione locale
La Daunia è traboccante di leggende antichissime. Una di queste, importantissima, è “Il ciuccio di San Potito”. Un mulattiere che da Tricarico andava ad Ascoli Satriano, sul tratturo Palmo-Palazzo d’Ascoli-Foggia e il torrente Carapelle, si vide sprofondare un asino pieno di derrate in una mefite (sorgente solfurea rappresentante da dea Mefite, zona sacra, particolarmente per gli Irpini).
Disperato, visto che l’asino era morto, gli tolse la pelle, ché aveva un qualche valore. Dopo un po’ di cammino sentì ragliare l’asino morto alle sue spalle. Si girò e constatò che l’asino era vivo, anche se tutto spellato. Felice, gli riattacco la pelle, ma lo fece al rovescio: la coda in avanti e la testa indietro.
Un culto che si è conservato nei secoli, sebbene sotto forme diverse
Ancora oggi molte donne anziane, e qualcuna di mezz’età, quando rientrano nelle loro case salutano l’Uria della casa: l’Auria, l’Augurio (la Fortuna, che era anche una dea romana). La tradizione era diffusa in tutto il Sud ed oltre. L’Uria, l’Auria non lo era solo in senso positivo, ma anche in quello negativo, cioè c’era il buon augurio, ma anche il cattivo augurio, la buona fortuna e la cattiva sorte.
e streghe erano rappresentazioni mitiche dell’inverno-inferno. Erano il corrispettivo ctonio delle fate, che rappresentavano Madre Terra nel periodo primaverile ed estivo. Erano le detentrici della magia nera e non solo; spesso si nascondevano agli uomini nella forma di gatta.
Tutte le streghe del sud continentale avevano l’obbligo, in un giorno particolare dell’anno, di recarsi sotto il Noce di Benevento per celebrare un sabba orgiastico in onore di Diana, la regina delle streghe.
Lo zampognaro di Carife (Campania), Dionigi Santoro, mentre suona davanti a quel che rimane del Morricone di Santo Petriccolo a ricordo della bellissima leggenda
Alle falde di Monte Celano, ad est del borgo, ci sono tre sassi (o meglio quel che di loro resta) che rappresentano, secondo una antica leggenda, le tre fate del Gargano: la fata bruna di Rignano, quella castana di San Marco in Lamis e quella bionda di San Giovanni Rotondo.
Ecco come nasce la tradizione della «vecchietta» che porta dolci ai bambini
Chi è il personaggio mitico che ci addolcisce il 6 gennaio con la calza prelibata e con mille altri doni? La sua storia è davvero lunga, ma noi cercheremo di fare una sintesi accettabile per i lettori.
La befana era Madre Terra-Luna regina dell’inverno.
Sappiamo, perché l’abbiamo già detto, che secondo le nostre antiche tradizioni precristiane, i morti, attraversando la Valle di Josafat, tornavano tra i viventi, per ricongiungersi, almeno per un po’, con i loro parenti e con i vivi in genere.
Le persone un tempo chiamavano la banda musicale “la musica”, per il semplice fatto che quando ancora non impazzava la radio, la tv e non imperavano i mezzi di riproduzione dei brani musicali, a cominciare dal disco di vinile e dal grammofono, per finire alla musica trasmessa su internet, la musica nei paesi, ovvero marcette, opere, brani musicali classici e popolari, si poteva ascoltare, quasi esclusivamente, grazie alle bande. Per questo, chi lavora al recupero della memoria della cultura bandista, è degno di merito e rispetto.