La caccia alle rondini era, in un passato non molto lontano, una caccia per adulti; questo in tempi di necessità, di fame, quando pur di mangiare carne si uccidevano anche cani e gatti. Per ragazzi un gioco di primavera che ha tramandato questa antica tradizione fino ai giorni nostri
Prendevano l’arma, il roscilillo (‘u ruscelìlle), che era una mazzetta con la parte inferiore fissa (il manico) e una superiore che ruotava (una rondella di legno girava attorno ad un’asta di ferro). A quella superiore che ruotava, si agganciava un’elica di zinco che, durante la veloce rotazione, volava in cielo.
Si imprimeva un movimento rotatorio come si faceva con la trottola per mezzo di una cordicella fatta di tanti fili colorati intrecciati, costruita dai ragazzi stessi con un sistema di tessitura geniale e, forse, molto antico.
Si facevano indossare ai bambini. Da adulti avrebbero avuto il potere di far passare il mal di pancia
Una tradizione era molto radicata a Monte Sant’Angelo e a Mattinata (da sempre parte di Monte Sant’Angelo, da poco comune autonomo), quella delle “scarpette del lupo”.
Sul Gargano, in tempi remoti, viveva il lupo, soprattutto nella Foresta Umbra che confinava con la città di San Michele Arcangelo, l’angelo cristiano che copriva la divinità pagana legata al Sole, cioè Apollo (ma anche Perseo, Elio, Orione, Horo egizio).
Una leggenda da cui trae origine la festa patronale ad Ascoli Satriano che unisce la grande devozione ad iniziative folkloristiche che trovano le loro origini nella tradizione locale
La Daunia è traboccante di leggende antichissime. Una di queste, importantissima, è “Il ciuccio di San Potito”. Un mulattiere che da Tricarico andava ad Ascoli Satriano, sul tratturo Palmo-Palazzo d’Ascoli-Foggia e il torrente Carapelle, si vide sprofondare un asino pieno di derrate in una mefite (sorgente solfurea rappresentante da dea Mefite, zona sacra, particolarmente per gli Irpini).
Disperato, visto che l’asino era morto, gli tolse la pelle, ché aveva un qualche valore. Dopo un po’ di cammino sentì ragliare l’asino morto alle sue spalle. Si girò e constatò che l’asino era vivo, anche se tutto spellato. Felice, gli riattacco la pelle, ma lo fece al rovescio: la coda in avanti e la testa indietro.
Un culto che si è conservato nei secoli, sebbene sotto forme diverse
Ancora oggi molte donne anziane, e qualcuna di mezz’età, quando rientrano nelle loro case salutano l’Uria della casa: l’Auria, l’Augurio (la Fortuna, che era anche una dea romana). La tradizione era diffusa in tutto il Sud ed oltre. L’Uria, l’Auria non lo era solo in senso positivo, ma anche in quello negativo, cioè c’era il buon augurio, ma anche il cattivo augurio, la buona fortuna e la cattiva sorte.
e streghe erano rappresentazioni mitiche dell’inverno-inferno. Erano il corrispettivo ctonio delle fate, che rappresentavano Madre Terra nel periodo primaverile ed estivo. Erano le detentrici della magia nera e non solo; spesso si nascondevano agli uomini nella forma di gatta.
Tutte le streghe del sud continentale avevano l’obbligo, in un giorno particolare dell’anno, di recarsi sotto il Noce di Benevento per celebrare un sabba orgiastico in onore di Diana, la regina delle streghe.
Lo zampognaro di Carife (Campania), Dionigi Santoro, mentre suona davanti a quel che rimane del Morricone di Santo Petriccolo a ricordo della bellissima leggenda
Alle falde di Monte Celano, ad est del borgo, ci sono tre sassi (o meglio quel che di loro resta) che rappresentano, secondo una antica leggenda, le tre fate del Gargano: la fata bruna di Rignano, quella castana di San Marco in Lamis e quella bionda di San Giovanni Rotondo.
Ecco come nasce la tradizione della «vecchietta» che porta dolci ai bambini
Chi è il personaggio mitico che ci addolcisce il 6 gennaio con la calza prelibata e con mille altri doni? La sua storia è davvero lunga, ma noi cercheremo di fare una sintesi accettabile per i lettori.
La befana era Madre Terra-Luna regina dell’inverno.
Sappiamo, perché l’abbiamo già detto, che secondo le nostre antiche tradizioni precristiane, i morti, attraversando la Valle di Josafat, tornavano tra i viventi, per ricongiungersi, almeno per un po’, con i loro parenti e con i vivi in genere.
Le persone un tempo chiamavano la banda musicale “la musica”, per il semplice fatto che quando ancora non impazzava la radio, la tv e non imperavano i mezzi di riproduzione dei brani musicali, a cominciare dal disco di vinile e dal grammofono, per finire alla musica trasmessa su internet, la musica nei paesi, ovvero marcette, opere, brani musicali classici e popolari, si poteva ascoltare, quasi esclusivamente, grazie alle bande. Per questo, chi lavora al recupero della memoria della cultura bandista, è degno di merito e rispetto.
I terrazzani, quello spaccato della popolazione foggiana da non dimenticare
I terrazzani di Foggia avevano un rito religioso molto interessante, condiviso in parte da altri abitanti dei paesi della provincia e dell’intero sud.
Quando un terrazzano andava in campagna per la sua solita “ricerca”, se trovava un aratro antico (o un giogo di legno), lo raccoglieva per alimentare il fuoco del camino o per utilizzarlo in altro modo, cosa, questa, che veniva considerata un peccato mortale. Un fatto generalmente dimenticato da molti, tanto che in punto di morte, la colpa non veniva confessata.
È una forma di ventaglio definito “ventarola a bandiera” che apparve nel XIII secolo. Diffusa in Europa fino all’apparizione dei ventagli pieghevoli nel 1500, è ancora in uso in alcune zone. Prima della metà del ‘500 furono utilizzate per dare sollievo ai sofferenti negli ospedali, alle partorienti oppure nelle osterie e presso i barbieri
Tra i vari tipi di ventaglio ce n’è uno veramente caratteristico: la ventarola devozionale, cioè un ventaglio a forma di bandierina, col manico di legno (lungo 30 cm) e il campo di cartone pressato (15x21 cm).
Sull’asta, generalmente, vi è una sorta di alabarda, cioè una freccia di colore rosso. In una faccia del campo si mette un santo e sull’altra faccia un altro in qualche modo collegato al primo; ad esempio se su un lato c’è la Madonna del Pozzo, nell’altro c’è San Giuseppe, ambedue venerati nella città di Capurso in provincia di Bari.
La minoranza franco-provenzale (o arpitana) in Puglia è una minoranza linguistica stanziata nei due piccoli comuni di Celle San Vito e Faeto e parlante rispettivamente i dialetti cellese e faetano della lingua francoprovenzale
Faeto (in particolar modo) e Celle San Vito, due paesi della provincia di Foggia, sono caratterizzati da un sistema linguistico influenzato dal franco-provenzale, con “inquinamenti” di termini appartenenti a dialetti dauni.
A Celle, il 12 agosto 2012, per celebrare l’ordinazione a sacerdote di don Michele Tangi, si è celebrata una messa solenne proprio in franco-provenzale, tradotta dallo stesso, i cui canti sarebbero stati composti dal fratello Vito.
Il terrazzano era un caratteristico operaio foggiano, ma abitava anche altre città del Tavoliere. Fondamentalmente era un raccoglitore di frutti spontanei e cacciatore dedito anche alla pesca. Ha conservavato nel tempo le più antiche attività dell’uomo primitivo
I terrazzani si trovavano in quasi tutti principali centri del Tavoliere: Foggia, Lucera, Cerignola, San Severo, paesi dei 5 Reali Siti, Manfredonia, Castelluccio dei Sauri. Erano raccoglitori di frutti spontanei della terra (lampascioni, verdure, capperi, lumache, funghi, pere selvatiche, ecc.) e cacciatori.
Se consultate i vocabolari, sono considerati abitanti di città fortificate poi, riguardo alla Puglia, raccoglitori di frutti spontanei.
IN FOTO: Donne e bambini dei Terrazzani di Piazza dell’Olmo,
una delle più belle piazze del quartiere dei Terrazzani a Borgo Croci (Foggia)
A questa definizione, ho aggiunto anche cacciatori perché non vi era terrazzano che non si dedicasse a qualche forma di caccia e occasionalmente anche alla pesca, con metodi arcaici (con le radici del tasso). La caratteristica psicologica rivelante delle loro personalità, era il bisogno di libertà, cioè la possibilità e il desiderio di non dover sottostare ad un padrone.
La dolina Cento Pozzi di Rignano Garganico è tra le più grandi depressioni carsiche di tutto il promontorio del Gargano
Chi, diversi anni fa, mi fece conoscere la struttura idraulica di “Centopozzi”, è stato Antonio Resta di Rignano. A lui si deve il contenuto di questo articolo. Ai tempi dell’intervista Antonio era Consigliere del Parco Nazionale del Gargano.
Egli ha vissuto buona parte della sua infanzia in quella zona (“Centopozzi”) e la conosce benissimo.
Il “puparato”, dolce tipico del foggiano, caratteristico sapore pugliese
Chi ama i dolci tradizionali, speziati con garofano e cannella, non può non conoscere ed assaggiare un dolce caratteristico garganico, per la sua squisitezza e per la sua storia. A San Marco in Lamis lo chiamano il “peperato” (ma non ha pepe), a San Giovanni Rotondo il “propato” (?), a Monte Sant’Angelo il “poperato” (?), ma, ahimè, la gente “non ricorda”.
Il periodo pasquale, con i suoi riti religiosi e le sue tradizioni culinarie. Spesso gli eventi si susseguono interrottamente per tutta la settimana pasquale, dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua
La Pasqua, si sa, è il completamento del Natale, perché il 25 dicembre il Sole pagano nasceva e il Sole cristiano nasce, ma il perché della nascita di Cristo si ritrova proprio nei significati della Pasqua. Dopo Natale si festeggia Sant’Antonio Abate, che, come data, apre le danze del Carnevale; quest’ultimo muore e si appende la Quarantana, o se volete la Quaresima, madre-sposa-sorella di Carnevale, nel mito pagano, la Madonna Addolorata nella religione cristiana.
Gioco a “tozza-l’uovo”
San Giovanni Rotondo, 18 febbraio 2020 Istituto Comprensivo “Dante-Galiani”
Le insegnanti della II E dell’Istituto Comprensivo “Dante-Galiani”, Scuola Primaria, dopo aver preparato un recital stupendo sulla poesia dialettale e in lingua, lo scorso anno, ci hanno presentato il 18 febbraio 2020, un meraviglioso lavoro sul Carnevale tradizionale di San Giovanni Rotondo, uno dei più interessanti della provincia di Foggia. Il lavoro, coordinato dalla maestra Latiano Arcangela, coadiuvata dall’antropologo Angelo Capozzi, ha visto la collaborazione delle insegnanti Scaramuzzi Nunzia, Martino Nunziata, Zelante Giuliana, Gatta Alessandra, Del Popolo Antonietta, De Cicco Francesca.
Notevole l’aiuto dato dai genitori dei bambini. Importante la collaborazione di due ballerini tradizionali, parenti dei bambini, che si sono esibiti anche durante la serata: Squarcella Rosaria e Longo Antonio.
Ospiti d’onore: il Dirigente Scolastico Prof. D’amore Francesco Pio Maria, la Vice Preside Ins. Cavalli Rosa, Ripoli Benito (musicista, organizzatore storico degli spettacoli musicali di folklore sangiovannese), Totta Michele (poeta). Tecnici: Fatone Antonio, Pirro Pietro.
Legato al mondo cattolico e cristiano, le sue origini vanno ricercate in epoche molto più remote, quando la religione dominante era quella pagana.
- Era l’Anno Vecchio, che dopo un primo trionfo orgiastico, moriva per lasciare spazio all’Anno Nuovo, anzi era lui stesso a risorgere, giovane.
- Era il sovrano di un mondo materiale, di carne, dove lo spirito e le entità spirituali avevano poca cittadinanza.
- Era un ritorno all’età d’oro di Saturno, quando c’era maggiore armonia nel creato.
- Era la vittima sacrificale, l’animale rappresentante l’inverno, immolato per il bene dell’umanità.
- Era una rappresentazione del Sole, ma nella sua componente oscura, ctonia.
Conosciuto anche come Sant’Antuono, santo particolarmente venerato in passato
Senza nulla togliere al personaggio vero cristiano di Sant’Antonio Abate, le leggende e il folklore in genere ci rimandano ad una operazione d’innesto del suddetto santo cristiano su un’antica radice precristiana. Il grande Alfredo Cattabiani, nel suo “Calendario”, ci propone il probabile contesto di origine: “Il lungo periodo che preludeva alla primavera, ovvero all’antico Capodanno nell’arcaica religione romana, era contrassegnato da cerimonie per purificare gli uomini, gli animali e i campi, e per favorire, propiziando gli dèi, il rinnovamento del cosmo.” (Cattabiani)
Considerato fin dall'antichità la "porta degli Dei e della luce"
La croce, simbolo centrale del Cristianesimo, con i dovuti distinguo, lo era anche durante il paganesimo. Nel significato precristiano la croce era rapportabile alla rappresentazione dei due solstizi e dei due equinozi, che originavano le stagioni. In tale simbolismo erano racchiusi i significati di morte e rinascita cosmica. I solstizi, gli equinozi, il sole, la luna, i pianeti, le costellazioni che accompagnavano il variare delle stagioni, erano considerati, in un modo o nell’altro, delle divinità. Erano entità divine che influenzavano la vita sulla terra e nel cosmo.