Venivamo da un periodo in cui il genere femminile veniva completamente emarginato. In particolare il fascismo aveva duramente represso ogni attività pubblica che registrasse la loro presenza. Bisogna arrivare al 1945 quando sorsero i primi movimenti femminili che lottarono per il riconoscimento del voto alle donne, ottenuto nel 1945. Anche a Fasano, mio paese di origine e attuale residenza, le donne cominciarono ad acquisire la consapevolezza che, al di là del diventare mogli e madri, potevano realizzarsi come persone.
Spesso non era facile convincere i genitori a lasciarle proseguire gli studi, soprattutto fuori sede, né a frequentare corsi di formazione, nonostante venissero organizzati nell’ambito del proprio territorio.
Per ricostruire la seguente vicenda, che vede protagoniste una trentina di giovani compaesane, dobbiamo riandare al lontano 1952 in una Savelletri che si stava ancora creando la strada conducente al mare. Nella vicina località marina le case furono finalmente dotate di acquedotto ed elettricità. Inoltre furono istituite le prime classi della scuola elementare. Fino ad allora l’istruzione elementare aveva funzionato in una rimessa con banchi in legno a due posti; non vi erano bagni e, per le necessità fisiologiche, si andava fuori verso gli scogli.
Piano piano Savelletri si attrezzava con nuove iniziative. Un precursore in tal senso fu Ciccio Lorusso che creò una batteria di camerini sulle palafitte fino a diventare il porto dei camerini , spiaggia preferita dai villeggianti e soprattutto dalle madri con bambini piccoli. “La camera” creò nella gente l’amore per il mare, un amore che non si fermò tanto che, negli anni a seguire, Savelletri, da villaggio di pescatori, si trasformò lentamente in una rinomata stazione balneare.
Nel 1952 si era insediata la Cooperativa dei pescatori ”F.co De Leonardis”, che istituì il primo corso per conseguire il Diploma di Capobarca Motorista. Tra il 1940 e il 2002 ne fu presidente Leonardo De Leonardis al quale, nel ’71, fu conferito il titolo onorifico di Cavaliere della Repubblica.
Sempre nello stesso anno, con l’intervento del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, fu organizzato un Corso di Qualificazione per Rattoppatrice di reti. Pio Carparelli ne fu il Direttore, Vito Cofano l’istruttore e Tettina De Leonardis l’Istitutrice. Fino ad allora a recuperare le reti erano stati gli stessi pescatori, magari nei giorni in cui non potevano andare per mare, causa maltempo. Considerando che a Savelletri si viveva di pesca, non era male poter contare sull’aiuto femminile per rammendare le reti rovinate dall’usura.
Questo evento rappresentò un piccolo segno di rinnovamento e di apertura mentale. A Savelletri la moglie non doveva più essere considerata “donna di marinaio che guarda e spera!” che a suo marito non sia successo nulla in mare e aspetta sul porto finchè non si riaccendono le lampare, così come annunciano i bellissimi e struggenti versi del componimento Senza Lampare dell’amata poetessa Elena Sansonetti Anglani (da Come soffi di vento), Schena editore. La donna, dunque, poteva avviarsi al mondo del lavoro.
Oggi, a rendere la testimonianza della suddetta esperienza di formazione è la signora Maria Saponaro (1935). Quale figlia di pescatori frequentò la scuola. Ella precisa che al corso si poteva accedere dai diciotto anni in poi. Le mancavano dei mesi per il compimento della maggiore età ma il padre pregò il Direttore, che ammise ugualmente la quasi diciottenne.
Le circa trenta e passa corsiste indossavano un grembiule azzurro con colletto bianco, svolgevano cinque ore mattutine in un locale adibito a scuola dove, oltre che studiare l’Italiano, l’Aritmetica ed altre nozioni si apprendeva a tessere la rete e a rattopparla in seguito all’usura. Osservando le foto d’epoca riportate si ha l’impressione di trovarsi di fronte a ragazze di elevata estrazione sociale frequentanti un college. Niente di tutto questo. Il materiale utile, compreso quello di cancelleria, veniva offerto gratuitamente. Anzi, le corsiste venivano assicurate con regolari contributi e percepivano una modesta mensilità.
Un’ulteriore conferma su quanto appreso è venuto dalla viva voce di un’altra novantenne, tuttora residente a Savelletri. A Carolina Lomascolo (1930) si è illuminato il viso quando, attraverso una foto, ha riconosciuto molte compagne di quella esperienza, alcune delle quali non più in vita.
Nonna Carolina, mi piace chiamarla così, ha descritto le condizioni di povertà e indigenza per una famiglia come la sua con ben dieci figli e relativi genitori. Il padre, anch’egli pescatore come la maggior parte dei Savelletresi, faceva fatica a sbarcare il lunario, considerando che con le intemperie non si andava per mare.
La Nostra Carolina, quand’era ancora all’Elementare di cui frequentò solo i primi due anni, la propria maestra e l’intera classe raggiunsero Fasano, per omaggiare il Duce in Piazza Ciaia con tanto di esercitazione ginnica. Le scolare vestite da Piccole Italiane, in gonna nera, camicia bianca e berretto nero, erano tuttavia prive di scarpe, visto che non ne possedevano e percorsero a piedi nudi la vecchia strada piena di sassi e brecciolina. Vicenda che a noi più fortunati può sembrare assurda.
Quest’ultima testimone tiene a ricordare suo padre. Pescatore con l’hobby della chitarra, insieme ad altri autodidatti, suonatori di mandolino e fisarmonica, quasi a formare una “band”, organizzavano delle feste con musica e balli nelle vicine masserie. Nel prosieguo della storia la voce di Carolina un po’ s’incrina per l’emozione. Suo padre, tornato a casa dalle serate, svuotava la chitarra riempita di taralli, ceci fritti, lupini o fave arrosto che dispensava per la gioia dei piccoli. Finalmente avevano qualcosa da mettere sotto i denti.
Amara conclusione: le suddette giovani donne frequentarono il corso di rattoppatrice per reti, desiderose di apprendere un lavoro artigianale e di rafforzare la ben poca istruzione conseguita da bambine ma vi andarono anche perché la mensilità percepita era sicura fonte di aiuto per il precario ménage familiare.
Nonostante Carolina Lomascolo stia narrando del clima di povertà allora imperante, col sorriso sulle labbra ricorda le lunghe serate invernali laddove, alla mancanza della cena, si sopperiva con i canti intonati dalla mamma e accompagnati dal suono della chitarra paterna cui seguiva, festoso e chiassoso il coro dei bimbi. Intanto nell’euforia del canto le energie dei piccoli si erano indebolite. Ahimé, subito dopo, con la pancia vuota andavano tutti a scaldarsi sotto le modeste coperte e si disponevano al sonno. Quadretto familiare che, al di là del facile sentimentalismo, indurrà i lettori, in primis i più giovani, a opportune riflessioni.