Oronzo Liuzzi, nato a Fasano (BR) nel 1949, laureato in Filosofia all’università di Bari, vive ed opera a Corato (BA); collabora con giornali e riviste letterarie, si occupa di arte grafico-pittorica presenziando a rassegne nazionali e internazionali. Con esposizioni personali è presente in varie regioni italiane.
Ha un debole per la poesia producendo nel corso degli anni numerose opere e partecipando a importanti kermesse letterarie organizzate da varie realtà culturali. Nel Luglio scorso ha pubblicato “Non Stop”, raccolta antologica di tutta la sua produzione poetica nell’arco di un cinquantennio, come si deduce dal sottotitolo (Poesie 1970 - 2020), dalla prima raccolta L’assoluta realtà alla ventesima Mutomutas con un saggio di Luciano Pagano, anch’egli raffinato poeta scrittore che dirige la casa editrice Musicaos.
Artista poliedrico, Liuzzi usa parole che non hanno bisogno di segni di interpunzione né di essere legate da congiunzioni. Sono parole che disposte in una sequenza apparentemente disordinata scoprono, denunciano, facendosi di volta in volta, musica, preghiera, sentimenti. Il poeta vuol sentirsi libero da costrutti linguistici, dalla sintassi, dalla metrica e da quanto rappresenta per lui una barriera architettonica del pensiero.
Nel corso del cinquantennio, Oronzo Liuzzi è andato occupando un posto di rilievo nella produzione poetica pugliese e non solo.
INTERVISTA
Ha esordito poeticamente a ventidue anni con la prima silloge L’Assoluta realtà, nella quale ripercorre lo scorrere dell’esistenza nelle sue diverse declinazioni, quanto bastava per rivelare il suo temperamento tendente all’impeto e alla passionalità. A distanza di 50 anni come le appare oggi la sua scrittura giovanile?
Mi sono aperto a questo meraviglioso mondo grazie al poeta Marino Moretti che, tramite corrispondenza epistolare, mi ha sempre incoraggiato a comporre poesie.
A parte l’impeto e la passionalità che sono i momenti più esplosivi e positivi dei ventenni, la mia prima esperienza di scrittura poetica viaggiava a grande velocità, esplorando e aprendomi a una nuova realtà umana. Tenace, ironica, la scrittura era la mia compagna di strada, un momento particolare della mia vita che mi ha dato la possibilità di creare vedute più vaste e maturare, giorno dopo giorno, un solido fluido linguaggio che rispecchiasse la mia piena personalità.
Aveva invece circa trent’anni quando nel testo Poesie inserì la poesia Emigrante. Descrisse la dura realtà del periodo post bellico, quando molti italiani vissero soli, in terre lontane,/ travolti da un regime esistenziale senza pace/, tra mangiare, lavorare, mangiare, piangere/, costretti a vivere in baracche/ riscaldate dal calore di schiavi.
Queste sue parole riprese dal testo riportano alle condizioni disumane in cui vivono oggi gli emigranti di colore, sfruttati come braccianti, ghettizzati in quelle catapecchie maleodoranti di Rosarno, nel Gargano e altrove. Quali affinità o differenze vede tra le due categorie?
Ognuno di noi è un migrante. Vicissitudini psicologiche, spostamenti sociali e politici, motivi di povertà, esplorare nuovi confini. L’uomo è sempre in un continuo movimento. Testimone di un dramma, passato per noi italiani, presente per gli extra comunitari, non potevo restare indifferente alle voci travolte dalle tragedie esistenziali. Viaggiatori di speranze. Un futuro diverso nuovo. Sensibile alle attuali condizioni disumane, a distanza di più di quarant’anni sul tema dell’emigrante ho pubblicato ‘Lettera dal mare’ nel 2018 (Oèdipus edizioni e finalista al 33° Premio Montano).
– Oronzo Liuzzi riesce a immaginare – ha scritto Rosa Pierno – le condizioni insopportabili a cui i migranti devono sottostare e a fare nostri i loro pensieri. La poesia rende, infatti, possibile la condivisione dell’esperienza, affinché essa divenga consapevolezza e presa di posizione da parte di tutti.
Parlando di uno scrittore o poeta si fa sempre menzione della sua formazione letteraria. Lei ha avuto degli autori anche contemporanei dai quali è stato influenzato nella sua scrittura?
Gli echi di un passato, le risonanze dei linguaggi della storia letteraria, le esperienze in toto e i contatti diretti con poeti e operatori della scrittura, la conoscenza delle avanguardie artistiche e delle neoavanguardie (il futurismo, il dadaismo, il movimento fluxus, l’arte concettuale ecc.) e in particolare il Gruppo 63, mi hanno fatto scoprire linguaggi alternativi e avventurarmi verso nuovi orizzonti e sognare e creare un mio mondo nuovo per comunicare: Edoardo Sanguineti, Adriano Spatola che mi ha dato la possibilità di pubblicare alcune mie opere nella sua storica rivista Tam Tam, Nanni Balestrini, Lamberto Pignotti (numerose sono state le esposizioni con lui), Antonio Porta, Elio Pagliarani ecc.
L’avventura di scoprire la rivelazione di un mondo non omologato, insomma.
I suoi riferimenti alla Sacra Bibbia sono evidenti nell’opera L’albero della vita edita nel 2003 per la quale ha ricevuto una segnalazione speciale nella trentaquattresima edizione del Premio “Lorenzo Montano”. In essa riporta frammenti del 15° capitolo del Vangelo di Giovanni. Di recente, nel 2020, ha ripercorso poeticamente Il sacrificio di Isacco che accetta il mistero di cui si circonda il suo vissuto. La parola “Dio” compare qua e là ripetutamente lungo la sua produzione scritta.
Cosa sono per lei i Testi Sacri e che rapporto ha oggi con il Divino.
Oggi vi è una minore adesione all’aspetto formale della religione rispetto al passato. In un mondo senza Dio il movimento cosmico della propria spiritualità si è dissolto, polverizzato, scomposto. Tenendo desto il pensiero di Zygmunt Bauman del vivere in una “società liquida”, l’incertezza è l’unica certezza possibile e con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato dove nessuno è più un compagno di strada ma un antagonista da cui guardarsi. Tutto si dissolve. Tutto diventa fragile e l’unico punto di riferimento è l’apparire a tutti i costi come valore.
Il consumismo non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, li rende subito obsoleti e l’individuo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo.
Sedotti dal mercato incontrollabile e selvaggio, l’ipocrisia, la falsità e l’ingiustizia dominano e predominano la nostra epoca e l’umanità è la principale vittima. Viviamo nelle buie profondità dell’oceano e il Divino ci può ridare la luce persa, la salvezza, la speranza e il sublime spirituale.
Tutta la sua scrittura è pervasa da una caratteristica dominante: la continua tensione alla ricerca di una nuova costruzione stilistica, di molteplici codici linguistici, caratteristiche che prevalgono anche nella sua produzione grafico-pittorica. Da cosa nasce questa sua esigenza?
Lea Vergine, una delle voci più autorevoli nel campo della critica d’arte, autrice anche del libro Il Corpo come Linguaggio, amava dire che l’arte “non ti aiuta a risolvere i problemi della vita, ma è un rifugio, in questo senso è un po’ come una benzodiadepina”.
L’esigenza del fare poesia.
Vivo in stretta alleanza con il respiro del mondo e traccio segni che animano e alimentano di continuo l’ispirazione e l’inspirazione della parola. Intendo farmi testimone del mio tempo, rivelare la psiche di un’umanità ferita. Sono l’essere del mondo che pensa anche all’essere umano. Nell’escogitare un pensare oltre. Nel raggiungere quello spazio linguistico dove l’essere si manifesta. Nel nostro incerto cammino cerco la salvezza, un altro linguaggio rispetto a quello della comunicazione corrente. Libero di essere sempre e soltanto me stesso.
A mio avviso, il suo modo di scandagliare la realtà servendosi di codici innovativi, adoperando con libertà i segni di interpunzione e un linguaggio poco comune ad altri autori, richiede un maggior impegno nel lettore non abituato a questo suo modo di poetare, portandolo necessariamente ad entrare in meccanismi per lui nuovi. Ne è consapevole?
La “provocazione” è la mia narrazione artistica per e da “riflettere”. È un segno incessante capace di ascoltare il cuore pulsante della ricerca. La poesia è un continuo mutamento... “lavori in corso” la definisce l’amico poeta e critico Giorgio Moio.
“Senza melensaggini e sbavature retoriche”, ha scritto il poeta Vittorino Curci su Repubblica in merito alla mia poesia, “la sua è una poesia che ha evidenti e corpose radici filosofiche. E si potrebbe definire poesia politica tout court. Sono davvero pochi i poeti che oggi si avventurano in un campo così ricco di insidie, ma Liuzzi non se ne fa un problema perché è capace di curvare il linguaggio a suo piacimento utilizzando una scrittura dinamica, densa e ritmata”. “Se qualcuno pensa” continua Vittorino Curci “che i poeti siano dei deboli che piegano la testa davanti alle più piccole difficoltà della vita, deve subito ricredersi davanti a questa poesia tenace e combattiva che si apre al mondo con la stessa forza delle gemme fiorifere in primavera.”
Purtroppo, una buona parte della gente comune ignora la lettura e in particolare il nuovo linguaggio della poesia e preferisce lasciarsi andare per altre necessità e realtà.