Figlio di un eminente pensatore fautore dell’utilita-rismo quale fu J. Bentham nonché dell’associazio-nismo psicologico , John Stuart-Mill è uno degli spiriti più illuminati del suo tempo, tra cui ricordiamo, quale esempio, la sua lotta per l’emancipazione femminile nel suo libro del 1869, Sulla schiavitù femminile.
La sua filosofia con il suo Sistema di Logica (1843) rappresenta il miglior approfondimento non solo del positivismo ma della miglior tradizione empirista inglese.
Il suo punto di partenza è la riduzione della realtà a “stati di coscienza” donde ne discende una critica radicale e strenua alla logica tradizionale.
Così s’articola la sua critica alla logica “associazio-nistica” troppo “meccanicista” del padre da cui fu educato.
Prendiamo i giudizi universali: essi non sono altro che osservazione di fatti particolari, tutto quindi parte dall’esperienza. (Famoso è il sillogismo aristotelico dove dalla premessa maggiore a) tutti gli uomini i sono mortali si giunge al definire che c) ogni uomo è mortale. Ma neppure l’induzione, (dal particolare all’universale) al pari della deduzione (vedi sopra), può esser base della logica. Quindi né una logica che parta dal particolare all’universale, né quella che procede dall’universale al particolare restano valide.
Che propone? Una logica che proceda dal particolare ad un altro particolare legata però alla teoria. Solo così saremo fedeli all’esperienza: “Si dovrà fare della Esperienza l’unico criterio di sé stessa.”
Ad esempio: noi siamo soliti dire che tutti gli uomini sono mortali solo perché tutti gli uomini hanno sperimentato finora che Tizio, Caio e Sempronio sono mortali ma non già dall’idea di mortalità del sillogismo (tipico, paradigmatico nonché principe è quello aristotelico di cui s’è detto prima) che nella sua tesi ha già implicita la soluzione. Fin quando vedremo morire Caio, Tizio e Sempronio noi “per associazione” diremo che finora gli uomini sono mortali, non partendo dall’idea astratta che “tutti gli uomini sono mortali” (logica deduttiva che il Nostro rifiuta).
Ora ovviamente non possiamo sapere con l’esperienza che non solo ogni uomo finora è mortale perché molti uomini che non conosciamo potrebbero essere immortali.
Allora ciò di cui noi non possiamo avere esperienza diretta, semplicemente perché non è percepita non esiste? Ritorniamo quindi all’Esse est percipi di Berkeley? In nuce rifiuta l’assunto del vescovo irlandese dell’esistenza in quanto percezione. Posso percepire una cosa – afferma John Stuart Mill – anche senza percepirla, ricorrendo alla nozione di “aspettabilità” o “teoria delle percezioni possibili” dove noi ci basiamo non solo sulle teorie osservative ma su quelle che possono accadere, possibili. (“… noi diciamo che una cosa esiste anche quando è assente e quindi, per conseguenza essa non è e non può esser percepita. Allora la parola esistenza esprime solo la convinzione in cui noi siamo, che noi si percepirebbe una cosa in determinate condizioni di tempo e di spazio…” Pertanto riduce l’Io ad un insieme di stati di coscienza, “… a continue sensazioni di una persona che resta però sempre sé stessa”.
Bisogna riconoscere al grande pensatore inglese la sua onestà del fenomenismo: la filosofia dell’esperienza all’estremo porta in breve a dare conto solo dell’esistenza del fenomeno e dell’associazione. Vedo un fulmine, aspetto un tuono.
Noi non ci bruciamo due volte con il fuoco – giunge ad affermare Mill – semplicemente perché il nostro sistema associativo fa coincidere l’impressione del vedere la fiamma con il dolore della bruciatura.
L’Etica resta ancorata a quella utilitaristica ma cerca di accentuare maggiormente la “Qualità” del piacere e ripete con il miglior utilitarismo anglosassone che un Socrate infelice è di certo preferibile ad uno zotico soddisfatto. Senza negare l’utilità come base originaria della natura umana, egli ammette che la vita in comune modifica l’uomo e lo porta a migliorarsi: nasce così un altruismo dove il singolo è spinto a sacrificarsi per il bene comune più che per la singola azione, che cadrebbe solo a vantaggio di sé stesso.