D’elevata statura è Giuseppe Ungaretti e la sua vita molto ha influito in tante decisioni che potrebbero essere discusse come lo “interventismo” e il suo “avvicinamento” al fascismo.
Di famiglia toscana nasce nel 1889 in Egitto, le sue prime esperienze (significative nella poesia, In memoria, che porta la data 1916) che ritroviamo, in un certo modo, trasposte in poesia come quella sopra citata dove c’è tutto un preciso riferimento esistenziale: “suicidio”, “nomadismo”, “crisi di valori”. È Ungaretti che in fondo si sente nomade. In che senso?
Nomade come molti della sua generazione: senza radici patrie per cui, se da un lato si è costretti a fuggire (non dimentichiamoci che venne a contatto egli stesso con esuli di varia tendenza dal proprio paese), dall’altro si sente la amara nostalgia e soprattutto “pesante” di tale allontanamento e il conseguente disagio. E proprio in Ungaretti tale tematica si rifà sentire, cantando Alessandria d’Egitto (luogo nativo). E Mohamed Schab (nella poesia, In Memoria), muore così suicida perché vive nomade, esule dalla sua Terra che ama ma cui non può tornare.
Ed Ungaretti che partecipa alle migliori lezioni europee, che conosce la filosofia del Bergson, del Nietzsche, che ha vissuto praticamente, facendo mestieri non attinenti alla sua cultura e personalità, escluso quando nel 1942 coprirà la cattedra di letteratura alla Università di Roma.
Riesce a sottrarsi al “suicidio” e vede nella Patria un rifugio alla sua solitudine. Abbraccerà la teoria dell’intervento propugnata dal “poeta soldato” (sic! ) e – da abbaglio ad abbaglio, si stringerà sempre più al fascismo anche perché – e bisogna non tacerlo – l’Italia godeva di un certo “riguardo” sotto tale regime.
Per Ungaretti, e non solo per Ungaretti (grande poeta o solamente Poeta), quale uomo il Fascismo veramente si presentava come una nuova direttiva “spirituale”, come una redenzione. Comunque la sua sensibilità di poeta fu aliena da ogni forma di oratoria e di retorica: è venata di tristezza, di profonda malinconia. Si vedano Soldati (o Militari) o le sue poesie nate sul Carso dove era soldato.
I temi dominanti in Ungaretti sono la ricerca immaginifica dell’innocenza e l’importanza data alla notte. Non bisogna essere psicanalisti di mestiere per scorgere in quest’ultima il grembo materno, il rifugio dalle atrocità del mondo e dallo stato inquietante di nomadismo (vedi Girovago) come stato d’animo tipico del Poeta. Girovago termina con la ricerca di un paese innocente (versi 24-25, corsivo nostro). Eppure si potrebbe obiettare che Ungaretti è stato un poeta sensuale, vitalistico nel vero senso della parola e terreno. Ebbene ciò nulla toglie alla nostra esposizione: il bisogno, l’esigenza di rifugio (la notte come simbolo) e la tendenza all’innocenza, alla ricerca di un “paradiso” dove regna un uomo innocente metastorico.
Così s’inserisce nelle migliori tematiche della poesia europea: tutta la lirica dei cosiddetti maudits (si veda ad esempio un Baudelaire), protesi, nonostante la loro vita assai disastrata, alla trascendenza, alla purezza come nel sublime Rimbaud che sono dei veri precursori del Simbolismo. O ancora per non tacere della nostra tradizione: Campana.
Proprio con Campana ci sarebbe da fare come è già stato fatto, e da risviluppare il rapporto con la poetica di Ungaretti. Campana in effetti era tra i suoi preferiti o il preferito, mentre non stimava i crepuscolari sebbene intravide in Govoni e Gozzano e nel Crepuscolarismo assai particolare in Palazzeschi, molto di positivo.
L’antipatia gli era dettata da quello stato d’animo che i “crepuscolari” rendevano all’eccesso… ma il discorso diverrebbe molto ampio. Resta il fatto che per Ungaretti tutto è nel linguaggio ogni scoperta è nel linguaggio, è linguaggio (G. Ungaretti, Vita di un uomo. Saggi ed interventi, Milano, Mondadori - il corsivo è nostro).
E così come per i Maudits - mutatis mutandis la tensione spirituale verso una metastoria innocente dell’uomo s’indentifica con tensione etica, morale e la si scopre sia con l’impegno e con la parola priva di incrostazioni “di vecchio accademismo” per giungere alla purezza di tale perché dapprincipio tutto era parola. Riconquistare la parola-pura, “essenziale” senza arcadia di alcun tipo, è cogliere il senso genuino autentico del verbo umano per antonomasia, il grafema e il fonema nevvero il prodotto più elevato tipico dell’uomo: la Parola-Verbo.
Se noi pensiamo come Ungaretti vede l’uomo ossia come il peggiore nemico di se stesso, ci accorgiamo bene come il viaggio di Ungaretti sia esistenziale fin nei più profondi meandri del suo animo, e in effetti nella raccolta, Il dolore, lo strazio che fa tale “assassino di se stesso”, del suo intus e cerchi quello “stato di grazia”, di sospensione onirica, del grembo materno quasi per annullare le sofferenze e per riacquistare uno stato di primaria innocenza forse mai esistito se non nei libri di filosofia come pura congettura per rendere più umano il mondo e meno inalienabile l’uomo nei suoi diritti.
Perché in nuce il problema è tale (si legga a tal proposito l’Ungaretti di Non gridateci più): tutto nasce per egoismo, per sopruso, senza rispetto della dignitas umana. La profonda crisi sta consumando in un abissale nulla, il nulla impressionante dell’uomo contemporaneo.