Sebbene l’argomento della sessualità desti molta curiosità, gli antropologi ne sanno ben poco in quanto finisce il rito sessuale dell’accoppiamento che viene praticato privatamente, lontano da occhi indiscreti. Pertanto la descrizione che noi abbiamo dei riti copulativi è dovuta a osservazioni non dirette bensì a testimonianze riportate. Molte notizie le ritroviamo in Malinowski (1922, trad.it. Vita sessuale dei selvaggi in Melanesia nord-occidentale) che ha riportato in modo dettagliato i rapporti sessuali nelle isole Tobriand (Arcipelago del Pacifico sud-occidentale appartenente alla Papua Nuova Guinea,).
Si tratta pur sempre di una visione di un antropologo però, si badi bene, dal punto di vista maschile, quindi riflette una visione non neutrale. Il rito dell’accoppiamento ci viene così descritto e – prendendo l’essenziale – ci limiteremo ad annotarlo per sommi capi.
Il maschio e la femmina – in giovane età – si curano di non essere osservati; stendono a terra una stuoia e si sdraiano uno accanto all’altra. Immergono ciascuno dei due le mani nei folti capelli dell’altro e si esaminano la testa, cercando i pidocchi. Levandosi i pidocchi, hanno cura l’uno dell’altro, dopo di che iniziano a parlare un linguaggio affettuoso senza nascondersi nulla dei loro “bisogni”, delle loro pulsioni.
L’uomo stringe l’altra a sé con affetto, strofinandosi a vicenda naso, guance e bocca. Non si baciano ma si succhiano le labbra e se le mordono finché non sanguinano. Si graffiano la schiena fino procurarsi lacerazioni profonde.
Secondo Malinowski i tobriandesi rifiutano la “posizione del missionario”. Questa posizione, c’è da rimarcare, è aborrita da tante altre culture indigene in quanto è probabile (non certo!) che la rifiutino perché residuo della dominazione occidentale.
La posizione da dietro, more ferarum in latino, è la più comune in quasi tutto il mondo australe e sud americano. La troviamo, tale posizione, anche nei dipinti, nei templi, pertanto si può dedurre che fosse, anche prima del dominio occidentale, una pratica abituale e ciò smentisce quanto sopraddetto. Riguardo ai costumi eterosessuali, il bacio è diffusissimo, mentre è sconosciuto in altre culture. Vedremo, come il baciarsi abbia più significati (dal bacio casto o amicale sino al sensuale ed ingannevole). L’osculum romano o Ius Osculi, il bacio di diritto; il vasium, passionale, lascivo e riservato alle prostitute; il basium alla moglie. Il bacio di diritto (Ius Osculi) aveva una sua ragione: se la moglie aveva tradito il consorte, in genere beveva per nascondere la colpa o con l’alcool in corpo si lasciava andare all’amante. Il marito, baciandola, se ne sarebbe accorto.
Possiamo parlare tranquillamente che altri rapporti sessuali non sono di testimonianza diretta però esistono, così come esiste la masturbazione sia nel maschio che nella femmina (a differenza di Freud ed alcuni allievi che negavano la sessualità nella donna). Il quadro si complica quando l’antropologo va alla ricerca dei rapporti intimi praticati in diverse civiltà. Prendiamo in modo particolare il sesso tra consenzienti nell’isola di Inis Beag che si trova di fronte alla costa irlandese. Il sesso qua è visto spregiativamente. C’è un’avvolgente cultura bigotta cattolica, sessuofobica. La donna però deve compiere l’atto sessuale (in piedi) in quanto prescritto dal matrimonio (procreazione).
Lei rimane in piedi, passiva, statica, inerte. Non esistono preliminari, e il marito cerca di raggiungere l’orgasmo il più presto possibile. Sappiamo che marito e moglie, durante il rapporto sessuale, non si tolgono neppure la biancheria intima, e il luogo deputato dell’incontro amoroso, deve essere scuro e buio per non vedersi i genitali: se c’è luce si chiudono le tapparelle.
È chiaro l’interesse sessuale in India dove la maggior parte degli abitanti ritiene che lo sperma sia sorgente di forza e pertanto non deve essere sprecato (è una credenza comune a tante culture in quanto il liquido seminale non si riforma subito). Questo atteggiamento nei confronti della perdita del liquido seminale contraddice molto i racconti sulla vita smodata dei rapporti sessuali in India. Vi sono dati che dimostrano come il sesso tra coppie maritate è molto inferiore del livello medio dell’europeo.
Dobbiamo spiegarci a questo punto del perché sia elevato il livello di fecondità. Questo non dipende certamente dal numero dei rapporti sessuali continui bensì dalla mancanza di precauzioni e dalla miseria culturale e sociale. Una società da tenere in considerazione sono i Mangaia della Polinesia. Questi – maschi e femmine – in età adolescente (all’incirca sui dodici/quattordici anni), vivono sessualmente i rapporti prematrimoniali: anzi; è caso più unico che raro perché le ragazze ricevono svariati corteggiatori nella casa materna, e i maschi competono tra di loro per mostrare la loro virilità (far raggiungere, alla promessa sposa, orgasmi soddisfacenti).
Ciò si può spiegare anche “biologicamente” in quanto, chi è più dotato fisicamente, può dare più soddisfazione sessuale alla donna onde procreare una prole vigorosa e sana.
Un’altra spiegazione plausibile potrebbe essere anche quella del sentimento reciproco di affetto, che porta con sé intimità sensuale, la quale è condizione essenziale per la nascita di un duraturo sentimento d’amore a differenza di ciò che viene idealizzato nella società occidentale, dove falsamente vogliamo l’amore romantico dettare le esigenze sessuali e non viceversa. La sessualità in Occidente è sempre stata vista non con occhi puri bensì come corruzione dello spirito, dell’anima: la porta dell’inferno.
L’adolescenza invece è un passaggio capitale: dall’infanzia al divenire uomo o donna completi, assumere uno status e ruolo ben definito nel gruppo sociale.
Possiamo giungere ad una prima conclusione: la sessualità come biologia e sacralità e non peccato distinta da quella profana la quale è mercificazione (il meretricio o altri sostituti sessuali i quali non sono per nulla “liberazione” bensì oggettualità, mercato anche se i media la spacciano per tale). Nell’ultimo capitolo si vedrà la questione del bio-potere, traendo materia per una seria riflessione dell’essere umano come presenza attiva e coscienza attiva il quale deve esser salvaguardato nel suo intimo (non per nulla tale è il superlativo di interior; intus o etimologicamente “dentro” ,”ciò che è in profondità”, insondabile) per una integrità fisica e morale contro qualsivoglia violenza più o meno mascherata.