Sebbene lo scienziato russo, che studiò anche in Germania, si dichiarò sempre scettico nei confronti della psicologia come scienza – ribadendo tale concetto anche in un convegno internazionale del 1929 – la sua importanza è basilare nella psicologia scientifica.
Disinteressato alla vita pratica (tanto che la moglie, si dice, gli rammentasse di ritirare lo stipendio), Pavlov fu uno studioso eccezionale. Assorbito dalle proprie ricerche, cercò di portare su un piano obiettivo le attività superiori della psiche. Raccolse l’eredità del fisiologo Sechenov (morto nel 1905) che, in uno studio neurofisiologico del 1863, aveva anticipato I riflessi cerebrali (sua opera base). In tale opera si sosteneva apertamente che ogni atto, conscio o non conscio, è riflesso. Tuttavia, Sechenov non è passato nella storia della psicologia in quanto esplicitamente la volle ridurre questa materia al pretto dominio fisiologico e neurologico.
Nello studio della digestione – che gli valse il Nobel – Pavlov notò nei suoi soggetti da esperimento (cani) questo: il riflesso incondizionato (o innato, non appreso, per esser chiari) delle ghiandole salivari quando si porta del cibo ad un cane. Ora, associando al cibo uno stimolo di qualsiasi natura (una luce, un suono, e via elencando), si otterrà – dopo aver insistito sull’associazione “cibo-stimolo artificiale” che, anche in assenza di cibo, azionando sullo stimolo, il cane da esperimento avrà una forte secrezione salivare. Il cane apprende, pertanto, ad associare lo stimolo artificiale con il cibo: da qui la sua abbondante salivazione. È ciò che Pavlov chiamò “riflesso condizionato”.
Mentre l’associazionismo di Ebbinghaus era ancora legato a livelli introspettivi, in Pavlov assume un rilievo osservabile, oggettivo, scientifico, misurabile. Per essere precisi, quello dello scienziato russo, più che di associazionismo vero e proprio, si dovrebbe parlare di condizionamento. Ritenne, il Nostro, in modo erroneo, che i centri dei riflessi condizionati avessero sedi localizzate nella corteccia cerebrale. Tuttavia, sebbene cadde nell’errore suddetto, egli allargò i suoi studi alla inibizione del riflesso condizionato, giungendo ad affermare che tale inibizione è dovuta anch’essa ad un riflesso.
Fu molto scettico, come abbiamo già affermato, di una psicologia come scienza autonoma ma, nonostante tale scetticismo, ampliò e rinnovò lo studio della psiche, non solo nel campo della psicologia animale ma anche in quella umana.
Pavlov propose anche una teoria sperimentale riguardante l’ambiente e i processi nervosi. Con cautela mai accomunò l’ameba all’uomo bensì iniziò quella neurologia fisiologica comparata tra animali a livello superiore e uomo che è molto importante (come vedremo in seguito proseguendo la nostra trattazione).
Pavlov propose tre gradi o livelli: dai più elementari ai più complessi.
Mentre gli animali superiori possono giungere a determinati gradi o livelli, il terzo grado detto anche “della simbolizzazione del linguaggio” è prettamente tipico dell’uomo.
E ciò trova conferma ancora oggi nell’individuazione della neocorteccia (neo-cortex) presente in modo preponderante nel cervello umano. Proprio tale neocorteccia permetterebbe all’uomo di aver la capacità di simbolizzare.
Pavlov indagò anche sull’interazione con l’ambiente e ciò fece sì che la teoria del grande neurofisiologo russo venisse applicata alla psicologia (a cui non credeva) e alle scienze pedagogiche.
In effetti la teoria di Pavlov non influì soltanto negli esperimenti con gli animali ma grazie al suo metodo altamente scientifico, oggettivo in psicologia in una corrente notissima statunitense chiamata “Comportamentismo” che vide in lui un paladino.