Il behaviorismo o psicologia oggettiva del comportamento trae il suo proprio humus proprio dalla psicologia animale. Le radici di tale corrente sono da ricercarsi soprattutto nella filosofia inglese dell’evoluzione (Darwin) nonché nello scientismo positivista di Comte o visione positiva della scienza come pura oggettività. Tale corrente è debitrice degli studi di Pavlov e della scuola del grande neurofisiologo e zoologo tedesco Jacques Loeb.
Questi, deceduto nel 1924 in USA, riteneva che la parte conscia, come la parte inconscia, potessero venire studiati sotto il puro aspetto neuro-chimico-fisiologico.
Dallo studio delle piante che si orientano verso il sole, Loeb trae il concetto di tropismo (o movimento meccanico forzato). Il concetto di tropismo viene mutuato nello studio degli animali in modo oggettivo e sperimentale. Quest’ultimi reagiscono direttamente ad uno stimolo, rispondono alla legge Stimolo-Risposta onde per cui Loeb esclude la coscienza in tale elaborazione della risposta ad uno stimolo. Tutto avviene neurologicamente e in modo fisiologico. Ritorna in mente la statua di Condillac o L’Homme machine di La Mettrie, sebbene i due filosofi francesi avessero preso direzioni opposte di pensiero per motivi diversi da quelli che muovono Loeb e poi Watson che è il vero fondatore del Comportamentismo.
L’americano J. B. Watson è il fondatore del Comportamentismo, in anglo-americano Behaviorismo o studio oggettivo della condotta umana e animale. Proprio Watson, morto nel 1958, iniziò i suoi studi con i ratti da esperimento. L’oggettivismo esasperato, che è tipico della psicologia di Watson, si può spiegare con la necessità, l’esigenza di creare una psicologia come scienza al pari di quelle scienze fisiche e matematiche. Da qui la ricerca di un maggior rigore di indagine, di una minor confusione sia nei metodi che nella terminologia usati. L’estremismo materialista monistico (tutto è organismo e la coscienza è una invenzione) non si può spiegare altrimenti, neppure ricorrendo al carattere americano così pratico, pragmatico.
Infatti, il comportamentismo di Watson non fu l’unica psicologia vigente negli Stati Uniti d’America. L’ambizione di Watson fu invece il ridurre i fenomeni psichici a fisicità, tramite la riduzione del fenomeno psichico a quello prettamente fisiologico.
Da qui si capisce l’esclusione della coscienza e il ridurre, non solo la condotta animale, bensì quella umana a semplice reazione stimolo-risposta.
Ricordiamoci che Watson vuol rendere la psicologia una scienza della natura onde per cui, quando parla di “atto”, intende passeggiare come leggere o scrivere un libro. Anche quando parla di istinti e di emozioni riconduce tutto alla legge Stimolo-Risposta. Non di meno considera il pensiero come pura fisiologia dell’azione. Tutto per Watson, quindi, è fisiologia: lo stimolo, in fondo, proviene dall’ambiente e quindi tutto deve essere visto in termini oggettivi di neurofisiologia sperimentale comportamentale correlata con l’ambiente. Le nevrosi e altri disturbi non derivano da fattori complessi ma dal condizionamento. Egli stesso, infatti, riuscì ad indurre un comportamento nevrotico ad un bambino e a decondizionare un altro da fobie semplicemente basandosi sul sistema Stimolo-Risposta e la loro frequenza.
È noto il pensiero di Watson che così si può condensare oltre ogni predisposizione o attitudine innate. Egli avrebbe manipolato i bambini in maniera tale che ne avrebbe fatto artisti o medici o furfanti grazie ai suoi metodi.
Resta discutibile se Watson ci sarebbe davvero riuscito. Ma questo, in breve, è il suo piano che riflette il suo fine: la psicologia che fosse scienza al pari di quelle fisico-matematiche; una psicologia come scienza vera. E questo progetto è davvero, seppur discutibile, basato su dati riscontrabili e non metafisici.
Il riduzionismo di Watson ebbe molti seguaci ma la psicologia che si dice modernamente neo-comportamentista ha rivisto e rielaborato le posizioni scientifiche estreme del proprio maestro.