Erano ancora di là da venire gli specialisti della Medicina oggi alle prese con il Covid-19: epidemiologi, infettivologi, virologi, immunologi e così via. Ed erano ancora tutti da inventare gli strumenti tecnologici capaci di individuare minuscole particelle o microrganismi invisibili a occhio nudo. Nell’antichità – ai tempi della civiltà ellenica o dei nostri antenati romani – si diagnosticavano le malattie attraverso le scarse conoscenze possedute, affidandosi alla creatività e all’intuito di scienziati che hanno avuto il merito di porre le basi della moderna Medicina.
In tale contesto appare scontato che le epidemie/pandemie venissero interpretate in maniera incerta e lacunosa, non di rado chiamando in causa i poteri soprannaturali di qualche divinità. La conoscenza che ne abbiamo ci deriva dalla narrazione pervenutaci dagli storici dell’epoca. Tucidide (Alimunte, 460 a.C. circa – Atene, dopo il 404 a.C.), per esempio, che nell’opera Guerra del Peloponneso, descrive quella che viene considerata la “madre” di tutte le epidemie/pandemie, nota come “peste di Atene”.
La potenziale contagiosità di una malattia era ancora sconosciuta, e con essa la trasmissibilità da uomo a uomo: ne erano all’oscuro medici e scienziati di fama quali Ippocrate e Galeno, così che anche il concetto di epidemia, legato strettamente al meccanismo della contagiosità, risulta entrato successivamente nelle esperienze e nelle dinamiche medico-sanitarie
Il doloroso bilancio della “peste di Atene” è stimato in un numero di vittime tra 70.000 e 100.000: tutti cittadini ateniesi o membri dell’esercito contagiati nel corso del secondo anno della guerra contro Sparta (431-404 a.C.) e per tre ondate successive, dal 430 fino all’inverno del 427/426 a.C.
L’evento porta con sé almeno due aspetti meritevoli di attenzione. Il primo, di carattere strettamente sanitario, chiama in causa proprio Tucidide, apprezzato per avere proposto un’analisi degli eventi storici secondo il metro della natura umana, con l’esclusione dell’intervento divino, e per questo definito “storico scientifico”. Egli descrive l’epidemia come una malattia proveniente dall’Etiopia, giunta nel mondo greco attraverso l’Egitto e la Libia. Interpretazioni successive hanno ipotizzato una febbre tifoide diffusasi con estrema virulenza, capace di uccidere i soggetti colpiti talmente rapidamente da rallentare la diffusione del batterio. La causa vera dell’epidemia, tuttavia, rimane ancora da individuare.
TUCIDIDE
Storico e militare ateniese, tra principali esponenti della letteratura greca grazie al suo capolavoro storiografico, La Guerra del Peloponneso, che costituisce una delle fonti principali a cui gli storici moderni hanno attinto per ricostruire alcuni eventi della storia dell'antica Grecia.
Un accurato resoconto sulla grande guerra tra Atene e Sparta (431 - 404 a.C.) considerato uno dei maggiori modelli narrativi dell’antichità, uno dei primi esempi di analisi degli eventi storici secondo il metro della natura umana, escludendo l’intervento di ogni divinità.
Il secondo aspetto, invece, è di ordine socio-politico-militare per le conseguenze che la “peste” ebbe sulle sorti della guerra e sul destino di Atene, considerando la supremazia terrestre delle truppe di Sparta che bilanciava l’abilità di Atene sul mare.
Gli ateniesi, proprio per difendersi dall’incalzare degli spartani, cercarono riparo dietro le mura della città, mentre dalle campagne migliaia di persone si riversarono nei quartieri cittadini di per sé già sovrappopolati: il cibo venne presto a mancare e i rifornimenti risultarono largamente insufficienti. La stretta vicinanza tra le persone e l’accentuata promiscuità fecero presto venir meno anche le condizioni igieniche minime, creando i presupposti per l’insorgere di malattie e la rapida diffusione del microrganismo causa del contagio (qualunque esso sia stato...) e, quindi, dell’epidemia.
Sul versante militare la “peste” ebbe conseguenze nefaste per Atene, il cui esercito e la popolazione rimasero infiacchiti e decimati al punto che la capitale dell’Attica non solo perse la guerra contro Sparta ma si avviò verso un inesorabile declino che sfociò nell’egemonia della stessa Sparta e del Peloponneso. Alla perdita di vite umane seguì una profonda e perdurante crisi economica: l’una e l’altra insieme segnarono la fine di quello che viene considerato il secolo d’oro della civiltà ellenica e Atene non avrebbe mai più rivissuto i suoi fasti e ritrovato la tradizionale prosperità.
Tra le vittime illustri della “peste” anche Pericle, stratega e comandante delle forze armate ateniesi, accomunato nella stessa sorte alla sorella e ai figli Paralus e Santippo. Pericle, artefice dello sviluppo della civiltà in ogni sua manifestazione, contribuì a fare di Atene il centro culturale dell’antica Grecia.
Tucidide “ferma” la narrazione de La guerra del Peloponneso alla battaglia di Cinossema (411 a.C.). Della fase conclusiva dello scontro, invece, si occupò Senofonte (430/425 a.C. circa – Corinto, 355 a.C. circa) nelle Elleniche.
Nel corso della storia dell’antichità, tuttavia, anche altri studiosi hanno scritto di epidemie e pandemie: Galeno, Ippocrate di Coo, Platone, Aristotele, Rufo di Efeso, solo per citarne alcuni.