La Piramide di Cheope

Una delle sette meraviglie del mondo antico, tomba di un faraone spregiudicato e tiranno

Un monumento “meraviglia” del mondo
È l’unica delle sette meraviglie del mondo antico ancora esistente. Non sono bastati, infatti, oltre 4.500 anni per distruggerne la presenza e la maestosa suggestione che riesce a ispirare la piramide di Cheope – dal nome del faraone che vi è stato sepolto – collocata nei pressi della città di Giza, in Egitto, sulla riva occidentale del fiume Nilo, a circa 20 km dalla capitale Il Cairo.


Alta inizialmente oltre 146 metri e con un lato di base pari a poco più di 230 metri, si ritiene essere costituita da almeno 2.300.000 blocchi di pietra, ciascuno del peso di 2,5 tonnellate. Le pietre calcaree per creare il corpo della piramide furono prelevate da una cava nelle vicinanze dal cantiere. Invece, i grandi blocchi di granito per realizzare gli ambienti interni, provengono dalle lontanissime cave di Assuan, caricati a bordo di zattere che attraversavano il fiume Nilo per centinaia di chilometri. Si tratta di un’impresa straordinaria che ha preteso l’impiego di numerosissimi animali da traino e di decine di migliaia di uomini tra maestranze specializzate, schiavi e contadini. Questi ultimi impegnati stagionalmente: durante i periodi di piena del Nilo, i più propizi per trasportare con le chiatte i massi di pietra, i campi allagati impedivano loro di poterci lavorare.
Secondo gli egittologi, la piramide di Cheope sarebbe stata edificata in un tempo dai 15 ai 30 anni.

La struttura della piramide di Cheope
L’edificio della piramide era soltanto la parte esterna che fungeva da copertura monumentale alla vera e propria tomba che si trovava in profondità ed era composta da tre camere: la più bassa, detta camera ipogea, scolpita nella viva roccia, con funzione di appoggio per la piramide; più in alto, nell’ordine, la camera della Regina e la camera del Re. La piramide di Cheope fa parte di un più ampio complesso che, in origine, comprendeva due templi mortuari dedicati al faraone, altre piramidi meno imponenti (tra cui quelle dei suoi successori Chefren e Micerino, rispettivamente figlio e nipote) dedicate a Meritites I e Henutsen, prima e seconda sposa di Cheope. Vi si trovavano, ancora, una piramide più piccola, definita “satellite”, una strada di collegamento e piccole màstabe destinate ai nobili di corte, ai dignitari e ai sacerdoti. Le màstabe sono costruzioni a forma di tronco di piramide a pianta rettangolare: il loro nome deriva dall’arabo e significa “panca” o “banco”.

Il faraone e la sua “divinità”
La grandezza dell’apparato esterno rispetto alla parte inferiore interrata si spiega col fatto che l’intera opera era dedicata al sovrano – gli egizi lo chiamavano faraone (termine mutuato dall’arabo) – che nella considerazione popolare veniva ritenuto alla stregua di un dio disceso sulla terra che dopo la morte ritornava in Cielo. Potrebbe apparire singolare che così tante risorse (umane e di materiale, ma anche economiche) venissero impiegate per innalzare un monumento funerario di tale stupefacente magnificenza, ma ciò conferma l’idealizzazione che gli egizi facevano del sovrano fino a considerarlo un dio, giustificando in tal modo tutti i sacrifici e i costi necessari per erigere una piramide. Il faraone, infatti, è ritenuto il primo esempio storico di divinità impersonata da un monarca.


La prima dinastia dei faraoni si fa risalire intorno all’anno 3.000. a.C. La successione si sarebbe prolungata per un migliaio di anni, fino a raggiungere ben 33 dinastie. Alla IV di queste appartengono Cheope e i suoi successori Chefren e Micerino.

Erodoto di Alicarnasso
Il più accreditato studioso delle piramidi, e dei faraoni che le hanno fatte costruire, è ritenuto Erodoto di Alicarnasso (Alicarnasso, 484 a.C. – Thurii, circa 425 a.C.), storico greco antico che Cicerone definisce “il padre della storia”. Vissuto circa duemila anni dopo l’epoca di cui ci occupiamo, nel corso dei suoi viaggi visitò l’Egitto raccogliendo dai sacerdoti egizi di Menfi, suoi contemporanei, informazioni utili a descrivere quel periodo e le inserì in quello che è considerata la sua opera fondamentale, Storie.

Il tiranno Cheope
Dalle Storie di Erodoto emerge un profilo inquietante di Cheope che i sacerdoti intervistati descrivono come un tiranno che ridusse in schiavitù il suo popolo. Pesanti critiche vengono anche manifestate per lo spropositato dispendio di risorse economiche per soddisfare il suo sconfinato ego per assecondare il quale avrebbe persino fatto chiudere i santuari del Paese affinché non offuscassero la sua personalità.
Le Storie di Erodoto riportano anche un altro episodio che rafforza l’immagine di spregiudicatezza che avrebbe accompagnato Cheope durante il regno e l’avidità di denaro che ne caratterizzava i comportamenti. Scrive lo storico greco: Cheope giunse, dicono, a tanta malvagità che, occorrendogli denaro, mise sua figlia in un lupanare con l’ordine di raccogliere una determinata somma che non mi è stata precisata.
Il regno di Cheope durò cinquant’anni e a lui succedettero il figlio Chefren, che regnò per trentacinque anni, e il figlio di quest’ultimo, Micerino. Tutti, come già ricordato, appartenenti alla IV dinastia dei faraoni.

Posted

07 Dec 2022

Storia e cultura


Duilio Paiano



Foto dal web





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