Il nostro itinerario tra le epidemie/pandemie più note e devastanti della storia dell’umanità si conclude puntando l’attenzione soprattutto su tre eventi contagiosi rilevanti per estensione e numero di vittime: la peste nera, la peste bubbonica manzoniana e l’influenza spagnola.
La peste nera, così chiamata perché si manifestava con macchie scure e livide sulla cute e le mucose dei malati, è stata causata dal batterio “Yersinia pestis” (già responsabile della “peste di Giustiniano” del 541-542 d.C.) portato da ratti e pulci. Sorta nelle regioni dell’Asia settentrionale, giunse in Europa nel 1346.
In fasi successive la “peste nera” si diffuse dalla Mongolia alla Siria e alla Turchia asiatica ed europea, prima di coinvolgere Grecia, Egitto e Penisola balcanica. L’intera Europa ne fu interessata con un “contributo” prossimo ai venticinque milioni di morti. Nel mondo, “Yersinia pestis” fece cento milioni di vittime, dando segnali di regressione soltanto nel 1353.
Le conseguenze sociali non furono meno drammatiche di quelle demografiche. In cerca di una spiegazione al contagio, infatti, la popolazione arrivò a imputarlo agli ebrei che furono oggetto di persecuzione e uccisione. Altri l’attribuirono alla “volontà di Dio”, creando movimenti religiosi i più disparati e singolari.
La “peste nera” è entrata nella letteratura attraverso il Boccaccio, che ne parla nel Decameron, ma si è offerta anche come tema ispiratore per altre forme d’arte. Inoltre, gli storici concordano nel collegare a questa patologia l’impiego della prima maschera protettiva indossata dai medici.
Il Granducato di Milano, che tre secoli prima era stato parzialmente risparmiato dalla “peste nera”, subì, invece, una veemente aggressione dalla peste bubbonica manzoniana – quasi certamente veicolata dai Lanzichenecchi – che imperversò tra il 1629 e il 1633 in tutte le regioni dell’Italia settentrionale, estendendosi fino alla Svizzera e alla Toscana. Il 1630 fu l’anno horribilis per Milano.
Alessandro Manzoni ce ne la lasciato una descrizione dettagliata e palpitante ne I Promessi sposi, pubblicato poco più di due secoli dopo, e nel saggio Storia della colonna infame, rappresentando magistralmente lo scenario apocalittico che si impadronì del capoluogo lombardo. Ne hanno scritto anche il canonico Giuseppe Ripamonti e il medico milanese Alessandro Tadini – testimoni oculari dell’avvenimento – in due opere, rispettivamente del 1641 e del 1648, che furono decisive per la conoscenza della peste da parte del Manzoni.
Secondo stime ormai consolidate la “peste manzoniana” avrebbe mietuto oltre un milione di vittime su una popolazione complessiva di circa quattro milioni di residenti nelle regioni coinvolte. A colpire, ancora una volta, era stato il batterio “Yersinia pestis”, poi isolato nel 1894 dal medico, batteriologo e naturalista svizzero Alexander Yersin.
Anche l’arte non rimase insensibile alla “peste manzoniana”: tra i numerosi edifici di culto costruiti per celebrarne l’estinzione vi è la Basilica di Santa Maria della Salute, eretta a Venezia tra il 1631 e il 1687. Giambattista Tiepolo, inoltre, dipinse il drammatico quadro con scene di disperazione tra cadaveri abbandonati.
La pandemia rimasta più impressa nell’immaginario collettivo è certamente l’influenza spagnola che deve il suo nome al fatto che essendo la Spagna neutrale rispetto al conflitto mondiale in corso, poté comunicare la notizia dell’influenza con maggiore libertà rispetto ai Paesi impegnati in guerra dove la censura militare vigilava per evitare che le truppe e la popolazione si demoralizzassero. In realtà la Spagna non fu il luogo d’origine del morbo che, per la comunità scientifica, rimane tuttora controverso: non pochi studiosi propendono per alcune fattorie nel Kansas, base di addestramento per migliaia di reclute statunitensi destinate all’Europa. Altri fondano le loro ipotesi sul salto di specie, sostenendo che la “spagnola” sia partita dalla Cina meridionale (portata dagli immigrati asiatici negli USA) oppure da un allevamento di pollame dello stato dell’Utah.
Responsabile della letale influenza fu il virus H1N1, capace di infettare circa cinquecento milioni di persone in tutto il mondo, portandone alla morte un numero tra cinquanta e cento milioni. Per questo fu definita “la più grave forma di pandemia della storia dell’umanità”. Un ruolo determinante ebbero le particolari condizioni di fragilità di militari e civili per il lungo conflitto mondiale in corso: insufficienti difese immunitarie, malnutrizione, scarsa igiene. Dolori lombari, tosse e febbre erano i primi sintomi della “spagnola” per poi passare a un travaso di sangue nei polmoni che portava a una fine ineludibile.
La nostra rapida carrellata attraverso le epidemie/pandemie della storia pretende che si dia un cenno, ancora, all’influenza asiatica (1957-58), dovuta al virus A (H2N2) di origine aviaria, propagatasi in tutto il mondo con il bilancio di un milione di vittime; l’influenza di Hong Kong (1968), attribuibile al virus A (H3N2), anch’essa a diffusione planetaria e capace di causare un milione di morti; al virus dell’immunodeficienza umana, l’HIV, meglio noto come AIDS (dal 1981) che continua a circolare con una serie persistente di varianti. Nonostante i progressi della ricerca scientifica e le ormai note misure preventive per evitare il contagio, tuttavia l’HIV non cessa di mietere vittime.