L’età moderna inizia con l’età del dubbio. I pensatori, animati da spirito critico, affermarono che l’uomo con la propria intelligenza poteva indagare sulla “verità”, da sé poteva esplorare il campo della scienza e di conseguenza diventare artefice e promotore di una dottrina. Due correnti caratterizzarono l’età moderna. La 1.ma corrente affermò che l’uomo può raggiungere il vero partendo dall’attività sensibile ed è la corrente dello sperimentalismo o dell’empirismo. F. Bacone è il caposcuola ed è colui che teorizzò e sostenne la teoria del metodo induttivo, fondato sull’osservazione, sull’esperienza, che è alla base del principio della tabula rasa sostenuto da J. Locke.
La 2.da corrente affermò che l’uomo è una realtà essenziale di pensiero ed è la corrente del razionalismo francese, del cogito cartesiano; il dubbio cartesiano è dubbio metodico, perché è attraverso il dubbio, come metodo, che si arriva alla certezza dell’esistere dell’uomo, come soggetto pensante.
Il punto di partenza per entrambe le correnti fu di negare la scienza antica, non assoggettarsi al pensiero altrui, non ammettere l’Auctoritas, ma fede nell’uomo; queste teorie confluiranno, successivamente, nell’Illuminismo, movimento culturale e filosofico che caratterizzerà l’età dei lumi, l’età che rese facile e divulgativa la scienza umana, proprio nel superamento dell’astrattezza intellettuale che riduceva la scienza a pochi privilegiati.
Mentre l’Illuminismo francese diede vita all’Enciclopedia diretta da Diderot e D’Alambert e si avvalse della presenza dei principali pensatori illuministi quali Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Condillac, l’Illuminismo inglese si affermò con lo sperimentalismo di Locke. J. Locke nacque nel 1632 a Wrington ( Somerset) da famiglia puritana, fu uno dei maggiori esponenti dell’empirismo moderno e anticipatore dell’Illuminismo e del criticismo. Mente aperta ai problemi della vita e del sapere, uomo politico e di azione, liberale in politica, medico, igienista, fisiologo, biologo, educatore. J. Locke, come filosofo, supererà lo sperimentalismo baconiano, che ci rivelò i processi attraverso cui si possono scoprire le leggi della natura; Locke ci rivelerà, invece, i processi attraverso i quali si svolgono le leggi della mente, mostrando come sia l’intelletto umano protagonista del sapere. Il suo principio fondamentale fu quello stesso di San Tommaso: “Nulla sta nell’intelletto che non sia stato nei sensi”. Scrisse il Saggio sull’intelletto umano che si compone di due parti:
nella 1.ma parte discorre contro l’innatismo di Platone di cui ne dimostra l’inesistenza e disquisisce contro l’innatismo cartesiano. Locke intende per idea, qualunque cosa sia oggetto dell’intelligenza quando pensa ovvero tutto ciò che s’intende per nozione, fantasma, specie, o altro che sia, da cui la nostra mente può essere occupata quando pensa. ( J. Locke, Saggio sull’intelletto umano).
Tale critica non attiene solo all’ambito conoscitivo e scientifico, ma riguarda anche la morale, la religione, la vita pratica, il costume, i rapporti sociali, ecc. Per cui la critica all’innatismo è critica non solo a Cartesio ma a tutti quei pensatori che pretendevano di mettere un limite alla indagine razionale.
Nella 2.da parte discute della validità della conoscenza, la quale deriva in ultima analisi dall’esperienza; i nostri sensi nel rapporto con gli oggetti sensibili particolari convogliano nello spirito diverse percezioni distinte delle cose, secondo i vari modi in cui quegli oggetti agiscono sui sensi. (J. Locke, Saggio sull’intelletto umano)
Locke dimostra che l’uomo ha una capacità intrinseca di intelligere, capire, ordinare le idee, le quali idee nascono dalla sensazione, che è la forza del senso esterno e dalla riflessione, che è la forza del senso interno. Comune agli empiristi e ai razionalisti è l’impostazione gnoseologica, ossia il nesso causale pensato come nesso fra idee, infatti Locke afferma che Ciò che produce un’idea semplice o complessa noi denotiamo col nome generale di causa; ciò che è prodotto, effetto. Locke e gli empiristi non vollero rinunciare al principio di causalità, tanto è vero che Locke non esitò a definirlo un vero principio della ragione, però non furono in grado di dare una spiegazione adeguata a questo principio e finirono con l’affermare che fosse un semplice costrutto mentale, un fatto puramente psicologico e soggettivo. Sarà, poi, Hume a sviluppare la famosa critica al principio di causalità nel Trattato sulla natura umana.
Il merito di J. Locke è stato quello di avere affrontato e analizzato il rapporto tra il linguaggio e le idee e di avere allargato la sua indagine ai poteri conoscitivi dell’intelletto umano. Da questo punto di vista può essere considerato il promotore della riflessione sulla filosofia del linguaggio.
La polemica all’anti-innatismo la si deve, come è stato detto, anche collegare alle tematiche morali e politiche riguardanti la tolleranza religiosa e su cui Locke si soffermerà ampiamente; il contesto storico inglese in cui visse, fu un contesto tormentato dalle contese delle molteplici sette religioso-politiche. Sin dai suoi primi scritti Locke propugna uno Stato liberale, uno Stato che deve promuovere la pace, la felicità e la ricchezza dei cittadini; uno Stato che deve lasciare ampia libertà di pensiero e di espressione; i diritti inalienabili dell’uomo sono il diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà.
Nella Lettera sulla tolleranza (1689) J. Locke si contrappone sia ai calvinisti sia ai puritani sia ai cattolici ritenuti responsabili di minacciare l’autonomia dello Stato. Nell’analisi lockiana non vi è spazio per la figura dell’ateo, il quale non riconoscendo l’esistenza di Dio, non può essere in alcun modo tollerato. La tolleranza lega tutti gli uomini per la pace ed è come un affare in cui tutti possono guadagnare qualcosa.
Locke fu anche un pedagogista, un maestro nato, abbandonò la medicina per insegnare, per occuparsi dell’anima e dell’intelligenza dell’uomo. La sua opera Pensieri sull’educazione, è una raccolta di consigli pratici sotto forma di lettere indirizzate all’amico Odoardo Clarke of Chipley, per l’educazione dei suoi figli.
A tutta prima sembra un’opera frammentaria, con paragrafi senza titoli, ma leggendo l’opera si nota un inflessibile ordine logico; il suo ideale pedagogico corrisponde all’ideale ateniese: educazione armoniosa, liberale, promozione dello sviluppo psicofisico dell’educando. Locke è considerato il padre della pedagogia moderna, perché mentre nel passato la pedagogia si riferiva sempre all’uomo, per la prima volta Locke rende protagonista della sua opera un fanciullo reale, con le sue esigenze biologiche; da questi studi sono nate le leggi genetiche. Il libro si apre con la famosa frase di Giovenale:
mens sana in corpore sano, locuzione latina che vuole ribadire l’importanza della sanità del corpo e della mente per un completo equilibrio interiore, giacchè, essendo medico, aveva intuito che le attività mentali siano maggiormente spronate se il corpo è nel suo equilibrio organico. Con l’educazione del corpo cominciarono a svilupparsi le leggi bio-fisiche: il bambino doveva muoversi, giocare all’aria aperta, i cibi dovevano essere sobri e nutrienti, le vesti sciolte, i letti dovevano essere duri, i piedi scalzi, il bagno freddo con ghiaccio, perché solo così i fanciulli si sarebbero potuti avvezzare all’umido e il corpo si sarebbe irrobustito e sarebbe diventato uno strumento adatto al libero esplicarsi dello spirito.