Nella moderna Europa della metà del XX secolo, il nazismo, come un vasto incendio, divampò sino ad annientare ed eliminare Ebrei, malati, i più deboli della società: minorati fisici, mentali e zingari; intere comunità furono cancellate per sempre. Nel 1942 sulle sponde del Wannsee fu pianificato lo sterminio della popolazione ebraica, Auschwitz ne divenne il simbolo. Milioni di persone trovarono la morte sia durante le deportazioni, sia nei campi con-centrazionari; essi furono dapprima raccolti in ghetti per poi essere destinati nei lager o campi di sterminio. Il genocidio degli ebrei si perpetrò fino al 27 gennaio 1945, quando il campo di Auschwitz fu liberato dalle truppe sovietiche. Più di sei milioni di ebrei furono eliminati: riducendoli in cenere, attraverso i forni crematori, se ne vollero cancellare i resti.
Emmanuel Lévinas (Kaunas 1905 – Clichy 1995) ripensa all’Olocausto e si chiede come sia stato possibile che un tale programma, pur impiegando risorse umane, economiche, approvvigionamenti in eccesso, sia stato accolto con molto entusiasmo proprio dalla Patria di quei grandi uomini quali Kant, Goethe, Beethoven e si se ci siano state altre ragioni oltre alle cause economiche, ai contrasti politici, alla crisi dei sistemi liberali nel volere, ostinatamente, sradicare una componente essenziale della nostra civiltà.
Lèvinas è un pensatore lituano naturalizzato francese, di origini ebraiche. Durante l’adolescenza si forma sui classici russi: Puškin, Dostoevskij, Tolstoj ecc; vive il periodo della rivoluzione russa e della seconda guerra mondiale. Nel 1923 si trasferisce in Francia e frequenta l’Università di Strasburgo prima, di Friburgo, poi. A Friburgo conosce Husserl, Heidegger e Cassirer. La fenomenologia di Husserl fu decisiva per la sua formazione. Si trasferisce a Parigi e qui conosce Lacan, Merleau – Ponty, Kojève. Scoppia la seconda guerra mondiale e Lévinas è arruolato in guerra; catturato dai nazisti e deportato in un campo di concentramento col numero 1492. Perderà molti congiunti, la moglie si salverà, perché si rifugerà in un convento di suore cattoliche. Durante questo periodo scrive delle note, che saranno pubblicate postume nel 2009 col titolo Quaderni di prigionia.
Lévinas è sempre stato convinto che il nazismo non sia stato una manifestazione momentanea di follia o di irrazionalità, ma testimonianza di una nuova ontologia che avrebbe voluto scardinare il concetto stesso di umanità, proprio della tradizione liberale dell’Europa cristiana. L’idea della superiorità della razza ariana, collegata alle mire espansionistiche, allo spazio vitale e allo sterminio di massa, era l’obiettivo fondamentale del nazismo.
Lévinas, di fronte alla rozzezza filosofica e rudimentale dell’ideologia nazionalista e razzista di Hitler, mette in discussione l’umanità stessa dell’uomo, per cui dà una spiegazione ontologica di questa rivolta antiumanistica dei nazisti: la libertà e l’universalità, che sono gli attributi connaturati ad essa, sono rovesciati. Per primo è stato il marxismo a mettere in dubbio il concetto stesso di libertà che concepì come secondario e derivato rispetto alle condizioni materiali dell’esistere dell’uomo. Per cui mentre per il marxismo la libertà sarebbe subentrata al regno della necessità, per l’hitlerismo i valori biologici del sangue, della razza e quelli etnici del suolo sarebbero stati esaltati in forma radicale: l’io era concepito come identificazione col proprio corpo, ossia con quei valori biologici della razza e del sangue.
Il male elementare, di cui parla Lévinas, è lo scatenamento dei sentimenti primordiali della bestialità, la rivolta di quei valori, quali la sensibilità, la forza, la sanità, la vita, ritenuti una volta inferiori e subordinati. La conseguenza di tale rivolta è stata l’esaltazione dell’eroe, della gioventù, della prestanza nello sport e nella guerra. La volontà dell’hitlerismo è stata quella di insinuare la propria ideologia nello strato più elementare dell’essere.
Il nazismo è appunto il male elementare, espressione che lega l’essenza dell’uomo, non alla libertà e alla sua anima, ma al corpo, all’io biologico, somatico, razziale, etnico, quello che Lévinas definisce l’incatenamento dell’io. I valori astratti dello spirito sono stati sostituiti dalle forze biologiche e razziali, sino a smuovere le masse, nella loro totalità. L’animalità e “la nuda vita” ad Auschwitz e in altri campi sono stati una sollecitazione inquietante per il filosofo, il quale si è interrogato, appunto, sull’ontologia della nostra umanità e se tale umanità sia stata compromessa. Lévinas in Totalità e infinito accusa la filosofia tradizionale di imperialismo del Medesimo e di violenza ontologica; afferma che la filosofia occidentale è stata per lo più un’ontologia, una riduzione dell’Altro al Medesimo.
L’incontro con l’Altro è incarnato dal prossimo e in quanto altro è Altri.
Gli altri (autrui) sono soggetti totalmente distinti, singoli, irriducibili all’io e Lévinas indica nella figura e col termine di volto (visage) la dimensione etica e perciò meta-fisica ed extraontologica dell’assolutamente trascendente; poiché la trascendenza richiama l’infinito, esso è il modo attraverso cui l’infinito si manifesta all’uomo e l’infinito in quanto trascendente è assolutamente Altro.
Il volto, tradotto da Lévinas nel faccia a faccia è la nudità dell’altro, mi coinvolge, mi mette in discussione e mi rende responsabile nei suoi riguardi. La sua valenza etica è: non uccidere.
In tal modo il volto diviene traccia dell’infinito, di una realtà liberamente creatrice e di una realtà che subordina alla sua Legge la libertà dell’io. Dio solo è padrone della vita dell’altro, come dell’io.