Vattimo afferma che: “Noi abbiamo sempre bisogno di un meta-racconto, che è il racconto della fine del meta-racconto. I meta-racconti sono le grandi narrazioni di Lyotard, ma anche di questi abbiamo bisogno per dare ancora una qualche razionalità ai nostri discorsi. Tutta questa faccenda del postmoderno che si afferma come processo di dissoluzione delle strutture centrali forti, della razionalità delle grandi ideologie totalizzanti e che è quello che dice Lyotard, si è centralizzata in un’altra teoria diventata uno slogan nella cultura italiana negli ultimi anni e riassunta nell’espressione “pensiero debole”.
Alla domanda dei ragazzi sulla “libertà” nel pensiero debole e sulle sue valenze etiche Vattimo risponde:
Io sono l’unico rappresentante vivente del pensiero debole, nel senso che nel 1983 abbiamo pubblicato un volume, in cui sono presenti diversi saggi, sotto il titolo de “Il pensiero debole”. Poi molti di quelli che hanno collaborato alla realizzazione del libro, adesso professano posizioni diverse: ad esempio Umberto Eco siamo riusciti a coinvolgerlo nell’iniziativa, perché era un nostro amico, dandoci un saggio per questo libro, ma quando si è parlato di pensiero debole ha detto: “no, per carità!” In verità uno che nei romanzi ha scritto cose deboliste è proprio Eco. Se voi leggete – ad esempio – “Il pendolo di Foucault”, il debolismo dilaga ed io, dopo questo libro, non ho più letto tanti altri romanzi di Eco, perché mi annoiavano. Ma il romanzo “Il nome della rosa”, insieme a “Il Pendolo di Foucault”, sono tipici libri che, se avessi avuto maggiore fantasia e ispirazione letteraria e narrativa, li avrei benissimo scritti io.
Dobbiamo dire che in Italia, grazie ad Umberto Eco e al suo romanzo storico Il nome della rosa, la letteratura postmoderna si è diffusa abbastanza rapidamente, perché il romanzo storico non è mai del tutto scomparso come storia rivissuta in un’ottica etico-politica; tuttavia ora è visto in un’ottica ontologico-metafisica di tipo nichilistico. È proprio in seguito all’atmosfera di intrigo delle abbazie medievali che fa capolino l’indecifrabilità del presente. Sul piano ideologico, la Storia viene messa in discussione; il passato ritorna sempre uguale, privo di significati ed è percepibile anche nel presente: è sfiducia nella storia.
Infatti Guglielmo, l’intellettuale in crisi che ormai dubita dei grandi sistemi di pensiero e dei significati “forti”, crede solo alla ragione come mero strumento di analisi e alla scienza empirica dei segni; il vecchio Jorge è simbolo del fanatismo e dell’intolleranza delle ideologie forti e totalizzanti. Alla fine del racconto l’incendio allude ad una possibile apocalisse del mondo, dovuto all’insano desiderio di possedere la verità e d’imporla agli altri. Possiamo aggiungere, anche, una interpretazione allegorica e filosofica della crisi postmoderna delle “grandi narrazioni”, con il conseguente nichilismo evidente soprattutto nella parte finale.
“Quindi, il pensiero debole è – in fondo – il tentativo di interpretare la storia dell’Occidente come storia del tramonto; sapete che Occidente significa appunto tramonto, sicchè il mondo occidentale è considerato come la terra del tramonto, dell’essere come struttura stabile. Infatti, quando io dico che Parmenide credeva che l’essere è e il non essere non è, Aristotele si barcamenava e in fondo tutto il divenire in Aristotele è ancora retto da un essere che sta immobile: il primo motore immobile della Divina Commedia, di S. Tommaso è di Aristotele.
Da allora ad oggi troviamo – ad esempio – Nietzsche, che ha scritto quella frase “Non ci sono fatti, solo interpretazioni” in Nietzsche, “Frammenti postumi.” Cos’è successo? Io sto dalla parte di Nietzsche, ma ci sto perché ho scoperto che l’essere è mobile o è immobile? E che cosa sosterrei oggettivamente che l’essere non è oggetto, ma è interpretazione; quando io dico che non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, vuol dire solo che c’è stata una trasformazione della cultura umana dell’Occidente e quindi della cultura europea, in quanto sono accadute delle cose che hanno reso obsoleta l’idea dell’immutabilità dell’Essere.
E quali sono queste cose? Non sono solo le trovate dei filosofi, ma – ad esempio – la fine del colonialismo europeo, che è fondamentale per questo, in quanto l’idea dell’umanità era legata all’idea che noi fossimo il centro del mondo ed andare a colonizzare, civilizzare, convertire i popoli primitivi, era una conseguenza. Oggi nessuno parla più di popoli primitivi, ma di popoli terzi, di popoli altri, di culture diverse.
Poi ci sono stati Freud e la “Scuola del sospetto”, per dirla con l’espressione di Ricoeur, il quale si sofferma su tre figure intellettuali più specifiche del panorama filosofico del tempo: Marx, Nietzsche e Freud. Questi tre pensatori convergono nello smascherare tutte le certezze, tutte le convenzioni e le pretese assolute, che vengono destituite del loro valore. Da qui la definizione di “Maestri del sospetto”; proprio Freud ha messo in dubbio il “Cogito ergo sum” di Cartesio, fondato su una sorta di auto-evidenza della conoscenza, l’evidenza ultima della Verità.
Il cogito ergo sum di Cartesio è il principio supremo del sapere ed è sulla base di esso che giustificò l’essere del mondo, attraverso il riconoscimento dell’esistenza di Dio; ne ricavò il suo criterio di verità, l’evidenza intellettiva, con le idee chiare e distinte.
(Trascrizione dell’intervista registrata dagli alunni di 5^ B il giorno 28 aprile 2001).
Le note e i materiali, che sono qui raccolti, intendono introdurre ad una più ampia e completa comprensione e riflessione sulla nostra situazione postmoderna e sulle decisioni critiche e pratiche ch’essa impone a livello generale di trasmissione della cultura e delle finalità educative.
In conclusione è bene riportare un pensiero dello stesso Vattimo a testimonianza del suo ottimismo e della sua fiducia nel futuro:
Persino tutte le esperienze di derealizzazione che sono in corso nel mondo del virtuale, io non le vedo tanto come diaboliche. Certo mi spaventano anche un po’, come tutto ciò che mi toglie dalle mie abitudini. Ma sono convinto che questa virtualizzazione del mondo non ha solo il senso di farci perdere delle cose; ci può far guadagnare l’essere e non l’ente, in quanto può aprirci verso tutta una serie di possibilità che io non ho ancora esplorato. Di queste possibilità ho anche un po’ paura, una paura naturale; ma che è forse troppo naturale per essere filosofica.