Jean Paul Sartre (Parigi 1905 – 1980) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo francese; è conside-rato uno dei maggiori rappresentanti dell’esistenzia-lismo; ha insegnato filosofia in diversi licei fino al 1945. Nel 1929 conobbe all’École Normale Supérieure la filosofa Simone de Beauvoir, sua futura compagna.
Nel 1940 fu fatto prigioniero dai tedeschi in Lorena e chiuso in un campo di concentramento; fu liberato nel 1941, rifiutò di arruolarsi nell’esercito dei collabora-zionisti del governo di Vichy e partecipò attivamente alla Resistenza.
Durante il suo soggiorno a Berlino nel 1933/ 34 conobbe Husserl e Heidegger, i suoi studi saranno influenzati dalla loro filosofia, dalla fenomenologia di Husserl e dalla filosofia esistenzialistica di Heidegger. L’essere e il nulla, pubblicato nel 1943, prese origine dai primi saggi su Husserl, dove Sartre scopre che il soggetto nega il mondo, in quanto ne sconfina. Rifacendosi ad Heidegger si interroga sulle strutture dell’essere e identifica due piani dell’essere: il per sé, cioè il piano della coscienza nella sua libertà e l’in sé che è tutto ciò che non è coscienza, è l’ essere compatto, immutabile, qualcosa di vischioso e di gratuito e consiste nelle cose del mondo.
Il per sé ossia la coscienza per Sartre è il nulla ed è il per sé (la coscienza) che, entrando in rapporto col mondo degli oggetti ossia con l’in sè, dà loro un significato e toglie loro l’essere in sé. È la coscienza che dà significato alle cose.
Dunque il soggetto che nega il mondo è il per sé, pertanto è il per sé che nega l’in sé. Da questo punto di vista, combinato con l’esperienza esistenziale del romanzo La nausea, pubblicato nel 1938, scaturisce una fenomenologia delle situazioni negative dell’uomo: questa è la linea conduttrice dell’Essere e il nulla. L’essere e il nulla descrive il fallimento dell’uomo che pretende di idealizzare l’assoluto.
Invece nell’Esistenzialismo è un umanismo, pubblicato nel 1946, Sartre supera il pessimismo degli anni precedenti, il suo Umanesimo diventa autenticità del suo marxismo nel senso che Sartre proclamando esplicitamente la legittimità, la necessità della divulgazione di una dottrina che si fondi sull’impegno, sul concreto inserimento in un contesto umano e sociale, s’interroga sulla finalità di tale dottrina e afferma di non limitarsi a contemplare il mondo ma di trasformarlo.
L’etichetta di esistenzialismo non l’ha scelta Sartre, il quale protestò appena s’accorse che i giornalisti l’avevano affibbiata alla sua ideologia. Ma finì ben presto per accettarla, rendendosi conto che non aveva nessun diritto di rifiutare il modo in cui gli altri lo vedevano e di cui egli era il solo responsabile.
L’esistenzialismo è un umanisimo è un’occasione per chiarire alcuni punti fondamentali del suo pensiero e il senso della sua posizione filosofica. Il motivo che percorre e anima unitariamente questa breve trattazione di Sartre è il riconoscimento della libertà individuale come tipica dell’uomo. Tale riconoscenza coincide con “il ritorno al soggetto”, cioè al cogito cartesiano: l’uomo raggiunge la coscienza di sé nella sua solitudine. Insomma, la riscoperta di sé stesso, della propria autentica materialità, è tutt’uno sul terreno della fenomenologia, con la riscoperta della propria libertà come dato irriducibile: su questo terreno, ogni antitesi fra materialismo e spiritualismo diventa astratto vaniloquio o pura e semplice mistificazione.
La coscienza o il soggetto per Sartre e in generale per la fenomenologia, non è altro che un fulcro di attività pratica nell’ambito di un mondo e di una collettività umana intersoggettiva, che esiste già prima: tale attività progettuale, che in linguaggio marxista si chiama praxis e in linguaggio fenomenologico si chiama intenzionalità, si riduce, in sostanza, all’inevitabile esercizio o impegno della libertà. Ovviamente si tratta di una libertà condizionata dal contesto naturale, storico e sociale in cui si esercita, perché il soggetto dovrà tenere continuamente conto dell’ambiente circostante, del processo temporale e storico, della presenza e praxis altrui. Ma, prima ancora, si tratta di una libertà che esiste come corpo organico particolare e che è condizionata dall’interno, cioè dalla materia che la costituisce: è quindi, libertà in situazione. L’uomo è condannato ad essere libero, egli progetta continuamente la propria vita, il desiderio dell’uomo è quello di essere Dio e una volta gettato nel mondo è responsabile di tutto quanto fa.
Può succedere che i miei progetti mi sfuggano e che non mi riconosca mai interamente nei loro risultati reali. Ciò avviene perché tali progetti, realizzandosi fuori di me, nel mondo, entrano in rapporto con mille elementi ad essi estranei e ne vengano modificati. Noi pur essendo completamente liberi, siamo completamente condizionati: libertà e necessità si identificano.
Il suo è un Esistenzialismo ateo, come lo è stato per Heidegger in Germania. L’Esistenzialismo si pone la domanda: è prima l’essenza o l’esistenza? Sartre fa l’esempio del tagliacarte, il tagliacarte è un oggetto che si fabbrica in una determinata maniera ma d’ altro canto è qualcosa che ha un’utilità definita per cui si pensa che l’essenza preceda l’esistenza. Per Sartre, invece, è l’esistenza che precede l’essenza, ciò significa che l’uomo esiste innanzitutto, si trova, è nel mondo; l’uomo non è altro ciò che si fa.
Dostoewskij ha scritto :
“Se Dio non esiste tutto è permesso”, di conseguenza l’uomo “è abbandonato” perché non trova in sé né fuori di sé, possibilità di ancorarsi. Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo, così afferma Sartre ne L’esistenzialismo è un umanismo.
Un uomo si impegna nella propria vita, definisce il proprio volto, fuori di questo volto non c’è niente. L’altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me. Anche se Dio esistesse, nulla cambierebbe. Il mondo dell’oggetto è il mondo del probabile, ogni teoria, sia essa scientifica o filosofica è probabile.
Mi vedevo come gli altri mi vedevano: l’occhio dell’altro mi vede come io sono realmente; uno è quello che vuole essere. L’altro è l’occhio che mi vede, il pensiero incolore che mi pensa.