Il Postmoderno e il Pensiero Debole

Ovvero inconsistenza e miseria della filosofia italiana contemporanea.
Intervista a Gianni Vattimo (Prima parte)

Nell’ anno scolastico 2000/2001, nell’ambito di un progetto didattico Il Novecento: l’Universo e l’Uomo svolto dagli alunni del quinto anno del Liceo Scien-tifico “A.Moro” di Margherita di Savoia (BT), furono presi in esame e sviluppati temi riguardanti i concetti di “Postmoderno” e “Pensiero debole”. La questione era capire se in una società come la nostra, in cui i valori fondamentali si vanno sempre più perdendo e, quindi, svuotando di senso, ci fosse ancora la pretesa della ragione forte, intesa come ragione metafisica “fondazionistica” o “fondamentalistica”.

Scopo precipuo del progetto era favorire, attraverso un percorso pluridisciplinare, la consapevolezza della crisi della cultura nel ‘900 e l’acquisizione di idonei strumenti interpretativi della realtà del nostro secolo, contestualizzando storicamente le relazioni tra le nuove teorie scientifiche del ‘900 e lo sviluppo delle idee in filosofia, arte, religione, letteratura italiana e letteratura inglese.
Alla fine del percorso didattico gli alunni hanno incontrato a Torino, nel suo studio privato, il filosofo
Gianni Vattimo; un colloquio all’insegna della simpatia e dell’amicizia, che ha toccato temi interessanti, quali la scienza, l’etica, la bioetica, la politica, l’arte, la religione, con tante domande da parte degli studenti.
Poichè non è possibile riportare tutta l’intervista fatta al prof. Vattimo, ho ritenuto opportuno approfondire i due concetti basilari che specificano, in un certo senso, il suo pensiero filosofico.

Però prima di procedere nel merito del discorso, occorre dire chi è Gianni Vattimo e come nasce il termine “Postmoderno”. Gianni Vattimo è un filosofo vivente, nato a Torino nel 1936. Ha studiato sia nella città natìa che ad Heidelberg con Gadamer e Loewith. Allievo di Luigi Pareyson, ha insegnato Estetica, in seguito Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Lettere di Torino ed è uno dei principali esponenti dell’Ermeneutica contemporanea. Ha lavorato come editorialista per i quotidiani La Stampa, La Repubblica e per il settimanale l’Espresso. È stato europarlamentare nei Democratici di Sinistra, nel Partito dei Comunisti Italiani e successivamente Europarlamentare eletto come indipendente nelle liste dell’Italia dei Valori.
Nei suoi studi si è sempre occupato dei problemi della società contemporanea, accentuando il legame col nichilismo, perciò Vattimo è il maggiore interprete del Postmoderno e del Pensiero debole.
Il termine “Postmoderno” è apparso negli anni ‘20/ ‘30 del Novecento per opera dei critici letterari, che definivano “postmodernista” la letteratura opposta a quella modernista e che poteva essere una poetica, un programma letterario, principalmente nel mondo ispano-americano. A partire dagli anni Sessanta, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, è stato adoperato sia riguardo ai mutamenti della società postindustriale sia nel campo delle arti visive e soprattutto nel design, nell’architettura, nell’urbanistica e nel cinema. Il punto di partenza era che il “Postmoderno”, contrapponendosi al “Modernismo”, spezzava l’universalismo, generava un nuovo “stile”, che pervadeva il mondo delle arti e della comunicazione e recuperava in maniera ironica stili del passato oppure icone della società dei consumi, conosciute da tutti. Si pensi alla pop – art (pop è abbreviazione di popular, popolare) che, in netto contrasto con l’eccessivo intellettualismo dell’Espressionismo astratto, rivolgeva la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi.
Nel frattempo Jean François Lyotard pubblicava nel 1979 l’opera La condizione postmoderna tradotta, poi, in Italia nel 1981. È stato proprio Lyotard ad introdurre nella filosofia contemporanea la nozione di postmoderno: doveva essere una sorta di ricerca sociologica, commissionata in origine dal governo del Quebec sulle condizioni del sapere in sè stesso e dei suoi rapporti col “potere”. Si trattava di una specie di indagine su come si organizzavano le discipline scientifiche e su come si organizzava in generale il sapere nelle società industriali avanzate. Nell’introdurre acute osservazioni espressivo-linguistiche, Lyotard riteneva finita l’era della legittimazione del sapere a mezzo delle grandi narrazioni (miti, rivelazioni religiose, metafisiche, valori moderni come criticità, libertà, assolutezza dello spirito) ed iniziata l’era della performatività linguistica e informatica. Le grandi narrazioni sono visioni onnicomprensive del mondo ossia sono dei grandi modi di concepire l’insieme della storia umana che, secondo Lyotard, caratterizzano la “Modernità”.

Si intende per “Modernità” quel periodo che va all’incirca da Cartesio a Nietzsche.
La Modernità si può considerare come un’epoca, in cui sia la cultura sia l’umanità occidentale hanno perso credibilità, sono ormai fradice e sbriciolate e, quindi, appaiono concluse. Questi meta-racconti o visioni onnicomprensive del mondo sono il meta-racconto illuminista, il meta-racconto idealista e il meta-racconto marxista.

Posted

09 May 2023

Storia e Filosofia


Tina Ferreri Tiberio



Foto dal web





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