Søren Kierkegaard fu un filosofo, teologo e scrittore danese, visse quasi sempre a Copenaghen, ricevette una educazione molto rigida e pietista; condusse una vita molto ritirata, ebbe una grande storia d’amore con Regine Olsen, ma la vicenda è rimasta fra le più misteriose della storia della letteratura, perché sarà lo stesso Søren Kierkegaard che troncherà il fidanzamento, lasciando in lui un rimpianto per tutta la vita. Fu propugnatore di una religiosità rinnovata e intensificata in contrasto tanto con la filosofia dell’idealismo tedesco quanto col protestantesimo ufficiale dell’800. Dalla sua posizione presero avvio la filosofia esistenziale e la teologia dialettica, ossia il ramo neoriformatore della teologia protestante. Kierkegaard sosteneva che la realtà della vita non si può rinchiudere in un sistema.
Leggere le opere di Kierkegaard ci si sente trasportati in un mondo strano, conquistati da una forza dialettica straordinaria, stupiti dal paradosso; Kierkegaard non scinde la religione dalla morale, afferma che l’oggetto dell’angoscia è il niente, però un niente che nello stesso tempo spaventa e affascina. Il concetto centrale nel pensiero di Kierkegaard è il peccato, mediante il peccato si realizza la libertà che prima esiste soltanto come possibilità.
L’esistenza, il singolo sono fondamentali per penetrare nella realtà essenziale, che non si schiude ad un pensiero puramente razionale, anzi alla base di ogni vera comprensione sta il paradosso. È convinto che la filosofia idealistica non sia capace di cogliere la realtà, né quella che palpita all’interno dell’individuo, né quella trascendente del divino che si schiude all’esperienza individuale. L’identità dell’essere e del pensiero, come la rappresenta la filosofia hegeliana, è il principio contro il quale sempre si scaglia con la massima passione. In un certo senso si potrebbe dire che egli ritorna alla posizione di Kant, per quanto poi si allontani da lui nell’interpretazione della realtà soprasensibile, perché mentre Kant fa derivare le certezze dai postulati della Ragion Pratica, Kierkegaard trova le certezze nella sfera irrazionale della fede religiosa. (Cornelio Fabro, Dall’essere all’esistente).
Le Briciole filosofiche (1844) e La Postilla non scientifica alle Briciole (1846) pubblicate con lo pseudonimo Johannes Climacus, sono scritti contro il sistema hegeliano e trattano lo stesso problema: come diventare cristiano, come arrivare alla fede, qual è la Verità che salva. Johannes Climacus richiama l’asceta e scrittore religioso dell’antichità cristiana (575 - 650 d. C. all’incirca) autore della Scala Paradisi. Il significato dello pseudonimo Giovanni Climacus viene descritto nella Scala Paradisi e rappresenta “i gradini” o i capitoli per salire al cielo, così come Hegel aveva preteso col suo metodo di aver scalato la vetta verso l’Assoluto.
Si può dire che mentre Le Briciole espongono la dialettica del problema oggettivo, del costitutivo della verità che salva, del Cristianesimo come paradosso, La Postilla tratta del problema soggettivo, del “come” il singolo esistente si può appropriare della verità che salva.
Ambedue gli scritti trattano della dialettica della fede: la prima determina il momento dialettico, cioè il costituirsi dell’oggetto della fede come paradosso e quindi scandalo per la ragione; la seconda espone il momento patetico del rischio della fede e quindi dell’impegno incondizionato della scelta della fede con l’abbandono di ogni attaccamento al finito.
La Postilla è una composizione dialettica perché la salvezza è prospettata nell’accettazione del paradosso ovvero nell’ammissione della propria caduta e disfatta, è patetica perché concentrata sulla soggettività originaria della coscienza, che è libertà; il procedimento non è sempre un modello di chiarezza espositiva. (Edda Ducci, La maieutica Kierkegaardiana; Cornelio Fabro, Søren Kierkegaard Il problema della fede).
Socrate, Lessing, Hegel sono i tre momenti più indicativi dell’atteggiamento della coscienza teoretica di fronte alla fede. Socrate è il modello esistenziale della coscienza umana qual essa si trova prima e fuori del Cristianesimo. È la coscienza che aspira alla verità come conoscenza dell’Assoluto, ma che non può mai possederla con certezza, la conoscenza è concepita come ricordo di un passato inafferrabile e Socrate perciò affronta il rischio supremo della morte per garantire e fondare con questo rischio la sua speranza. La posizione di Socrate è da considerare l’unica vera, qualora non fosse apparso il Cristianesimo, ovvero è la posizione della pura filosofia che non conosce la divina rivelazione storica.
Lessing rappresenta la posizione della filosofia di fronte alla religione positiva rivelata che è il Cristianesimo; sa che l’accettazione del Cristianesimo e della dottrina del Cristianesimo non è affare di scienza ma di fede e perciò comporta un salto. Jacobi ha cercato di spingerlo a questo salto, ma Lessing ha riconosciuto onestamente la trascendenza della fede e non sentendosi in forze di fare il salto, lasciò il Cristianesimo.
Socrate fece il “salto” nella morte, buttandosi in braccio all’Assoluto sul fondamento non della certezza ma della passione soggettiva e il suo gesto fu unico in tutta l’antichità; Lessing invece comprende che il salto è opera dell’interiorità appassionata, ma dichiarerà di esserne sprovvisto: il Socrate del Cristianesimo non è Lessing, ma è lui, Søren Kierkegaard. (Edda Ducci, La maieutica Kierkegaardiana)
Hegel rappresenta la posizione disonesta della filosofia di fronte alla fede rivelata, dichiara di accettare il Cristianesimo, anzi lo esalta come la manifestazione suprema della verità, ma l’accetta per “superarlo”, cioè per negarlo e sostituirsi ad esso, perché la verità assoluta per Hegel è il Concetto puro nella totalità dell’Idea. La 2^ parte più ampia della Postilla è tutta una polemica contro la mediazione hegeliana e si può dire che tutta l’opera di Kierkegaard è un atto di accusa contro Hegel.
La 4^ posizione si rivela man mano sempre più sospetta e disonesta, è la Cristianità stabilita della Chiesa nella sua realtà storica, la quale ha sempre più accentuato l’aspetto oggettivo della fede a danno di quello soggettivo, ha innalzato la collettività cristiana come società di credenti ad unica garanzia di salvezza trascurando lo sforzo del singolo. Il significato esistenziale del Cristianesimo è la Verità che salva e l’opera del Cristianesimo converge verso questa determinazione.
Kierkegaard si chiede se la Verità si può insegnare ed è il tema delle Briciole, afferma che la Verità non si può insegnare, se fosse oggetto di insegnamento, si dovrebbe presupporre che non esista; quindi se la si deve imparare, la si deve cercare. La risposta socratica è nota: ogni insegnare e ogni cercare è una forma di “ricordare”, l’acquisizione della verità sta fuori della storia e il momento in cui essa sorge per me nel “ricordo” ha carattere puramente casuale. Mentre le Briciole determinano il problema della Verità, la Postilla si concentra sul problema della realtà. La Verità esprime il momento della necessità ed è il punto immobile archimedeo dell’esistenza; la realtà esprime il momento dell’essere e consiste nel movimento, nel salto, nella decisione della libertà, nel passare dalla possibilità alla realtà. L’errore da combattere è quello di considerare la “fede” come qualcosa di dato immediatamente, comune a Hegel e alla cristianità stabilita; per Hegel è qualcosa che va superato col concetto, per la Cristianità è qualcosa che va esposto e ricevuto con argomenti, prove e mezzi oggettivi; l’errore comune è quello di voler avvicinarsi alla fede per approssimazioni. La Postilla è conclusiva perché esaurisce la ricerca delle condizioni per l’atto di fede ed è detta non scientifica perché lascia da parte e combatte il pensiero puro. (Edda Ducci, La maieutica Kierkegaardiana).