In genere si definisce libertà, i modi e lo stato in cui il soggetto agisce senza alcun impedimento, interiore ed esteriore, avendo la possibilità reale di “autodeterminarsi” (Vocabulaire techinque et critique de la philosophie, par André Lalande, Presse Universitaire de France, Paris).
Tale è la dizione classica di libertà, dibattito che inizia con i greci, culla della nostra cultura ma non esente da critiche acute. E lo vedremo.
Per i Pitagorici, sino a Platone, libertà era liberarsi dalla materia, dal corpo (il corpo era prigione dell’anima ovvero soma/corpo/-sema/prigione) per raggiungere il sommo bene.
In Platone libertà assume anche significato politico: per esser liberi bisogna che sia libera anche la polis o città stato. Sarà bene ricordare che in Platone il problema è politico quanto teoretico, a ventidue anni vide rase al suolo le mura della sua Atene.
La VII lettera rappresenta la testimonianza di ciò detto mentre – in realtà – nel Teetèto o che cos’è la conoscenza, giungerà alla giusta opinione non all’episteme. Quindi riferimento duplice: la libertà individuale e libertà politica. Ma già con la Sofistica il tema della libertà divenne soprattutto come affrancare l’uomo dalla schiavitù: libertà dalle passioni in nuce e dagli dèi.
Socrate riduce (come dirà il pensatore tedesco Nietzsche) la libertà ad una semplice azione razionale dell’uomo che deve discernere il bene dal male. Quindi libertà (e far il bene quindi) per Socrate è questione di non-ignoranza o Intellettualismo.
Molto più complessa è l’analisi del concetto di libertà svolta da Aristotele: l’azione svolta dall’uomo che agisce in base a criteri sì razionali ma anche dovuti alle circostanze ambientali. Come debbo agire per Esser Libero, Virtuoso? Si domanda nell’Etica Aristotele. E l’agire etico non s’impara come una scienza teoretica ma agendo. Da cui tutte le argomentazioni dei successori di Aristotele. Nel tardo platonismo o neoplatonismo, Plotino si pone tale dilemma: se il libero volere porta al Bene, all’Uno (Identità) supremo ed unificante non è l’uomo che deve uscire dal dominio dei sensi, della materia? Sarà bene accentuare che l’Uno è bene ma non si identifica con tale, è dio ma non può combaciare con dio: è oltre, è indicibile. C’è in Plotino una forte contrapposizione tra Anima e Sensi. Tale concezione pagana, e rifacentesi a Platone e ai Pitagorici, però venne ripresa dal cristianesimo che aggiunse la grazia divina che guida, volenti o nolenti, l’uomo con il suo libero arbitrio. Cioè l’uomo per il cristianesimo è legato al divino volere (la grazia) e al libero arbitrio, ciò che contesteranno molti, detti “eretici”, e non per nulla Karl Barth (filosofo e teologo svizzero-tedesco, riformato) nella sua Lettera ai Romani accentuerà la gran differenza dalla teologia classica: egli, Barth, dice che Dio è in cielo e l’uomo in terra, da qui l’abisso tra umanità e Dio.
Sono le contraddizioni drammatiche dell’uomo di fede che mai han trovato risposta. Non più dialettica positiva ma semmai negativa tra Uomo e Dio. La fede ci viene data ed è inutile cercarla, continua Barth, riprendendo il tormento dell’opera di Kierkegaard, teologo danese del 1800. Si ha il senso della trascendenza o non lo si ha, si ha fede o meno. La libertà per loro consiste in tale: solo Dio può darci la grazia d’esser liberi. Ciò anticipa, o meglio s’innesta, nell’esistenzialismo: l’uomo è un essere, l’essente, gettato a caso nel mondo (deiezione), per puro caso.
Da qui libertà come “accettazione della vita”, sapendo che lo scopo ultimo è morire (Heidegger, Essere e Tempo, anche se poi Heidegger dirà che tale opera “non è esistenzialista” ma base della ricerca dell’essere non da intendersi religiosamente), dopo essersi accorto che l’angoscia (non la paura) ci porta alla vita autentica: cercare l’essere, prepararsi alla morte, l’Evento. In quanto puri esser-ci dobbiamo trovare l’essere.
Per Sartre esiste la coscienza (per sé) e il mondo (in sé), divisi, distanti: l’in sé è opaco.
Ma la coscienza non combacia con il mondo, in sé, quindi ogni nostro progetto è destinato a fallire: “essere Napoleone o ubriaconi è la medesima cosa” in quanto la coscienza non può cambiare il mondo né capirlo. L’uomo ha infinite, tutte le libertà ma è una pura coscienza, un “per sé”, quindi nulla può incidere sul mondo.
Spieghiamo meglio. La coscienza umana è nullificazione in quanto annichilisce la realtà, il mondo che non sa che sia. La coscienza, essendo un nulla, un vuoto può farsi ogni immagine possibile del reale ma inutilmente: il mondo è una cosa, l’uomo e la sua coscienza altro (si sente la eco del dualismo cartesiano). L’uomo può costruirsi come progettare la sua propria vita ma essendo la libertà assoluta, equivale al nulla: “l’uomo è libero perché mai è se stesso ma solo una presenza a sé medesimo” (L’Etre et le néant) Essere sé – stessi – o nulla è equivalente. E direbbe Hegel con logica che non viene accettata da tali pensatori: tutto o nulla non sono, in breve, la stessa cosa?
Ma il concetto di libertà assume tinte nuove con la fenomenologia di Husserl (il maestro di Heidegger e di Sartre). Libertà, per Husserl non ha alcun senso. È pura astrazione ed inganno concettuale: bisognerebbe piuttosto dire: libertà “di” (libertà di vivere, di dormire, di dire di no, etc.)
Fatta questa brevi parentesi, torniamo al nostro tema di partenza
Che è la Libertà? Assenza di costrizione esteriore ma l’uomo – diciamolo subito – non vive nel tempo, un determinato tempo e in una società? Onde l’assenza di costrizione diviene astratta: l’uomo è storicamente determinato ed è uomo sociale quindi.
Inoltre in lui esistono forze che non gli sono estranee: pulsioni, stimoli e via dicendo (si cfr. a tal proposito l’ottimo libro di Reynolds, Biologia dell’Azione Umana, dove l’uomo non è avulso in puri paradisi spitualistici ma è completo, totale).
Bisogna essere degli stoici per eliminare le pulsioni o comprendere la libertà in altro modo.
Il positivismo del francese Comte sosteneva che Libertà è combaciare con le leggi naturali ma tale è riduttivo: la natura ha leggi che vengono superate dalla cultura, dalla storia. Inoltre ciò che è naturale non è detto che sia buono: il veleno si trova anche in natura, la medicina è “antinatura” in quanto cura persone che dovrebbero perire senza l’aiuto medico. Al che Comte risponderebbe che la scienza supera tali ostacoli: è progredire, superare la metafisica, attenendoci a dati positivi, concreti. Ma noi non siamo in accordo: l’uomo non si può ridurre a scienza. Il positivismo parla tanto di anti-metafisica mentre in fondo non è altro che una trasposizione romantica ove al posto dell’Assoluto c’è la Scienza inscalfibile, assoluta, certa, con tanto di maiuscola. E questa comunque è sempre perfettibile e le congetture scientifiche non sono fatte sempre dall’uomo, come ci ha insegnato, tra gli altri, Kant?
È piuttosto valida l’affermazione della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo del 1789: l’uomo è libero nei casi prescritti dalle norme vigenti di natura squisitamente politiche, dice in sostanza tale istanza illuminista, dopo avere elencato diritti naturali come mangiare, bere e nutrirsi, riprodursi…
Bisogna rifarci a un classico come On Liberty di John Stuart-Mill ove si parla di libertà di coscienza, di libertà individuale (in un patto stabilito tra il popolo e lo stato ovvero pactis standum, stare ai patti, altrimenti si rescinde tutto), libertà di associazione, di stampa. Popper e la sua scuola riprende da John Stuart-Mill.
Se per l’anarchismo vero “libertà è non dipendere dalle leggi”, è pur vero che l’anarchico è “un idealista” in quanto crede che ogni uomo abbia una coscienza morale e intellettuale, un self-government il che non è realisticamente constatabile in ogni uomo.
Il comunismo e il fascismo, non sottraendoci ad escamotages e fatte le dovute differenze abissali, pensarono contro le opinioni progressiste liberali di John Stuart-Mill suddette che l’uomo, od io empirico, dovesse realizzare la propria libertà e la propria morale nello Stato. Solo lo Stato (o statolatria in quando sua divinizzazione) realizza l’uomo nel suo interno, lo rende libero anche moralmente e Gentile, filosofo italiano che aderì al fascismo, esclamò che la libertà e la morale sono in interiore homine (nella coscienza dell’uomo) in quanto si accorda l’uomo con le idee dello Stato. È il cosiddetto Stato Etico dove l’individuo è solo se combacia nello stato morale
Il filosofo laico Giulio Preti distingueva giustamente tra Etica e Morale in senso nuovo, ribadendo con fermezza che morale è politica quindi “moralizzare la vita politica” equivarrebbe a inserire un’auto nel motore, una casa nell’armadio. Ogni politica mette in atto, ha una sua morale. Per non dire dell’acutezza del filosofo deceduto tragicamente sullo stato hegeliano.
La Libertà in senso psicologico è opposta ad incoscienza, a pulsioni quindi condizionata dalla varietà di condizionamenti che l’uomo riceve donde ne discende una libertà a puro carattere di norma perché di fatto l’uomo è troppo legato da vari fattori sociali, economici etc.
Ne discende che il filosofo tedesco Leibniz dirà che solo Dio è libero in quanto essere incondizionato.
Si può convenire con il Lalande (op.cit.), sovrattutto per chiarezza espositiva, che il concetto di libertà viene a frazionarsi in
• Libertà fisica (malato, prigioniero che ne deficitano)
• Libertà politica
• Libertà morale – poter decidere di essere razionali o meno come – spinta non intellettuale ma volontaristica.
• Libertà intellettuale – che segue la razionalità ma anche un equilibrio interiore e una pacificazione con il mondo (il vecchio ideale dei greci seguenti il post aristotelismo e lo stoicismo in modo particolare che si risolve poi, de facto, in rassegnazione come tutto, o stoicismo che va a cercare nelle stelle il perché della ingiustizia)
Più realistico ci sembra quel concetto di libertà data da John Stuart-Mill nella sua Logica del 1800:
modificare la nostra indole e accogliere con ragione il sentire morale rispetto agli altri onde cercare di dominare le passioni e gli interventi esterni che ci sviano. È una posizione anti-idealista.
In effetti l’idealismo ha cercato sempre nell’idea assoluta una conciliazione tra libertà individuale e statale, un’idea che ignora di fatto i condizionamenti esterni perché tutto si risolve nell’atto puro dello spirito. Ma la libertà, come la concepisce John Stuart-Mill, è pragmatica e lo stato è ridotto a semplicità estrema e non equo distributore di ricchezza.
Da canto nostro crediamo che la libertà non sia un assoluto come un dogma bensì fluttui tra condizionamenti esterni e l’equilibrio di una coscienza interiore, il tutto legato al tempo, alla temporalità del vivere e dell’agire umani: Solo razionalità? E i sentimenti? I condizionamenti socio-economici?
In un’armonia tra razionalità e coscienza di essere condizionati credo consista il passo per conquistare la libertà da intendersi non come dato già acquisito ma in divenire, in fieri.
Se il problema anima-corpo è ormai superato (tale divisione è un falso problema in quanto vige l’unità psicofisica senza cadere nella mistica dell’uomo pneumatikos) anche l’ateismo che ha radici lontane tende alla liberazione dell’uomo: ricordiamo, senza soffermarci in tali grandi pensatori, Lucrezio o l’antialienazione in Feuerbach, in Marx o nell’opera freudiana dove Dio e la religione sono considerati, e non a torto, una nevrosi universale, per non parlare dell’ateismo postulatorio radicale di Nietzsche detto anche genealogico.
Ma come non citare lo scienziato di Oxford, R. Dawkins (fautore del neodarwinismo) che ha ripreso la nota opera del logico, meritato Nobel, Bertrand Russell (Perché non sono cristiano) per sostenere tesi contro l’insito male della credenza di Dio e delle religioni?
Tematiche complesse e affascinanti che ivi non possiamo sviluppare ma è certo o, per essere più tolleranti verso varie fragilità, che è l’uomo che si crea un dio e non dio l’uomo.
In fondo l’importante non è non essere in crisi, non è non esser liberi da questo e quello ma averne coscienza, coscienza di non esser liberi “di”.
Solo da qui, o “autocoscienza” (si ritorna ad Hegel), si può partire per uscire dalla crisi e giungere alla libertà: essere e volare con i calzari di Hermes – alati – “verso le stelle e affermandosi come un sé unico e irripetibile”.