Alla domanda dei ragazzi sul significato dei termini “Moderno e postmoderno”, cosa vuol dire crisi dei fondamenti e che cosa si intende per Verità, il filosofo Vattimo così introdusse l’argomento, chiarendo innanzitutto il concetto di “Modernità”: Caduto il colonialismo cade anche l’idea della Storia come unico senso fondato sulla Verità. Un tempo per Modernità si intendeva l’epoca del Razionalismo e dello Storicismo; le due cose poi si fusero nell’Illuminismo, secondo cui c’è un senso della Storia che è unitario e che ci conduce a comprendere sempre più chiaramente le Verità razionali: questa è stata anche la base dello Storicismo ottocentesco e dell’Eliocentrismo.
Secondo Vattimo: Siamo noi Occidentali che abbiamo “inventato” quel periodo di storia, noi siamo quelli che ne sanno più degli altri, che colonizziamo, convertiamo, insegniamo. Oggi, non per la scoperta di qualche filosofo, ma perché i popoli colonizzati si sono rivoltati, noi non possiamo più decentemente credere che ci sia un’unica civiltà umana. Ma se non c’è un’unica civiltà umana, non c’è un unico corso della storia e, se non c’è un unico corso della storia, non ha senso affermare che è meglio essere più moderni piuttosto che essere più arretrati, perché soltanto se c’è un unico corso della storia, che va verso una combinazione sempre più grande, “l’essere moderni” è un valore. Una volta perso il valore dell’essere moderni, è perso anche quello che ha costruito la Modernità come di un mondo pluriculturale.
Nell’opera La fine della modernità, Vattimo ci dà una definizione di “Modernità”: La Modernità concepisce il corso del pensiero come uno sviluppo progressivo, in cui “il nuovo” si identifica con il “valore” attraverso la mediazione del recupero e della appropriazione del fondamento origine.
Senonchè, scrive lo stesso Vattimo: Proprio la nozione di fondamento viene radicalmente messa in discussione da Nietzsche e da Heidegger. Costoro sono i filosofi della Postmodernità.
Infatti Nietzsche denunciò in numerosi scritti la falsità del progresso, invocando la demistificazione di tutti i valori proclamati “eterni” dalle civiltà occidentali. Di fronte alla diffusione della fiducia scientifica dei positivisti, sostenne la necessità di affermare un pensiero nichilista che, proclamando la morte di ogni finalismo borghese e cristiano, compresa la morte di Dio, sottrasse l’uomo alle pretese razionali della scienza. L’annuncio di Nietzsche Dio è morto, non è – dice Vattimo –l’enunciazione metafisica della non-esistenza di Dio; vuole piuttosto essere la vera presa d’atto di un “evento”, giacchè la morte di Dio è prima di tutto, proprio la fine della struttura stabile dell’essere, dunque anche di ogni possibilità di enunciare che Dio esiste o non esiste. (G. Vattimo, Dialettica, differenza e pensiero debole, in AA.VV., Il pensiero debole).
Il nichilismo, per Nietzsche, libera l’umanità dai miti anche più tenaci e resistenti, però è una sorta di arma a doppio taglio: da un lato libera l’uomo da ogni fondamento e valore metafisico, dall’altro lo lascia da solo col nulla. L’uomo resta sì, senza gli inganni delle illusioni, ma resta solo. Non ci sono valori assoluti, non esiste alcuna struttura razionale e universale, non c’è alcuna provvidenza, alcun ordine cosmico. Il mondo non ha senso.
Nella prefazione all’opera Crepuscolo degli idoli, Nietzsche esordisce sostenendo amaramente che vi sono nel mondo più idoli che realtà e sono proprio questi idoli ossia questi ideali, che hanno fatto imboccare al mondo la strada della decadenza, dalla quale non si può tornare indietro.
Perciò il nichilismo non è la causa, ma la logica stessa della decadenza.
Dobbiamo dire che da Nietzsche Vattimo deriva, innanzitutto, l’annuncio della morte di Dio ossia la teoria del venir meno dei vari assoluti metafisici, compresa l’idea di “soggetto”; quindi, l’uomo postmoderno è colui il quale riesce a vivere in un mondo, dove “Dio è morto” ossia, senza fondamenti. Anche Heidegger pone al centro dell’indagine il problema del senso dell’essere e si interroga sul destino dell’Occidente, che dimentico del senso dell’essere e pervaso dalla razionalità e dal sapere tecnico-scientifico, volge il suo sguardo solo agli enti cioè alla realtà oggettivamente presente. Nella evoluzione del pensiero occidentale, Heidegger vede, in parallelo, emergere quesiti sugli enti, intesi come dati e un oblio della domanda sul senso dell’essere, inteso come fondamento di ciò che è.
Infatti, il punto di partenza di Essere e tempo è l’interpretazione dell’uomo in termini di “progetto”, più precisamente l’uomo è continua tensione verso nuove dimensioni della realtà: è, appunto, un progettare e non una semplice – presenza.
Il Dasein, l’esserci, indica il fatto che l’uomo esiste sempre in una situazione (esserci, nel senso di essere qui, ora, così) e che si rapporta in modo attivo e progettuale nei confronti della situazione stessa. Si compie qui il rovesciamento dei termini dell’ontologia tradizionale (è ciò che caratterizza l’intero esistenzialismo), chiaramente espressa dalla tesi heideggeriana, secondo cui l’essenza dell’esserci è l’esistenza e l’esistenza è progetto.
Così si esprime Vattimo: Heidegger ha una bellissima espressione per descrivere l’esistenza dell’uomo, dicendo che l’esistenza dell’uomo è un “progetto gettato”, un progetto gettato molto importante, gettato perché si trova sempre in situazioni che non ha scelto, nemmeno di nascere, ma poi progetta, perché sceglie, si muove, si agita, rifiuta l’immobilità, ha bisogno di mangiare, dormire, di procurarsi delle relazioni affettive, erotiche, sociali ed è sempre in cerca di qualcosa. Lo verificherete quando sarete anziani, quando poi avrete perso o le pulsioni o la speranza di trovare qualcuno con cui passare la fine delle serate e non uscirete più tanto, ma resterete a casa o a guardare la televisione o a leggere un libro. Anche da vecchio l’uomo ha sempre un progetto: verificare il proprio conto in banca e lavorare per arricchirlo. Il suo progetto è di sopravvivere, ma non sopravvivere per sopravvivere, ma sopravvivere per progettare ancora. Ad esempio sopravvivere per andare ad un concerto, per incontrare un amico e tutto questo è il “progetto gettato.
Certo non siamo esonerati dal cercare “un filo conduttore”, ma sappiamo che il filo conduttore è un’interpretazione che si deve argomentare convincendo gli altri, persuadendo gli altri. (Vattimo, Trascrizione dell’intervista registrata dagli alunni di 5^ B il giorno 28 aprile 2001)