Ci sono percorsi umani, più che professionali, che nascono con il crisma della circolarità: si chiudono là dove hanno avuto inizio. E quando ciò accade si scatena una temperie virtuosa di considerazioni e riflessioni che chiamano in causa il destino, il fatalismo, la memoria, le radici intese come appartenenza a una terra, a una storia.
Nicola Fiore, troiano per origini e famiglia, nato il 18 giugno 1881, ha manifestato fin dall’infanzia il suo talento per l’arte e per il bello inteso come categoria dell’anima.
La figlia Lucia racconta (Il Rosone, settembre-ottobre 1979) che, ancora fanciullo, «da uno dei balconi della sua casa chiamasse i contadinelli e li pregasse di procurargli la creta, cosa che faceva egli stesso allorché, all’insaputa del padre, riusciva a raggiungere i fossi della periferia.
Conservava umida la creta fasciandola con stracci bagnati, la nascondeva e si rifugiava poi nei sottani per realizzare, alla luce di un piccolo lume a petrolio, i suoi primi “pupazzi”».
Dunque, una passione intensa che il piccolo Nicola fa di tutto per assecondare, anche affrontando burrascosi contrasti con il padre che immagina per lui una professione che nobiliti la luminosa tradizione degli avi. I suoi ascendenti paterni e materni, infatti, sono tutti collocati nell’ambito delle professioni liberali: troviamo medici e avvocati, letterati (il fratello Emilio) ed ecclesiastici, musicisti e pittori.
Nicola Fiore studia a Troia e a Foggia, prima di trasferirsi a Napoli, poi a Roma (conseguendo nel 1906 il Diploma all’Istituto delle Belle Arti dopo quattro anni di intenso studio di scultura sotto la guida di Ettore Ferrari) ed infine a Milano, nel 1909, dove trova, lui pur così schivo e discreto, l’ambiente e le occasioni utili a dispiegare la sua bravura. Nella città del Duomo incontra la compagna della vita, Antonietta Landini, troiana anche lei.
Le sue opere di scultura hanno letteralmente arricchito il patrimonio culturale della Lombardia: i monumenti ai caduti di Grosio (1924) e Boffalora Ticino (1925); le quattro grandi statue dell’Ottagono – S. Ambrogio, S. Carlo Borromeo, S. Giuseppe e S. Lorenzo – per la chiesa prepositurale di Lazzate; numerose altre opere che si trovano nella Galleria d’Arte moderna, nel Cimitero monumentale di Milano, nel Cimitero Maggiore, in diverse collezioni private in Italia e all’estero.
Il monumento ai caduti di Boffalora sopra Ticino, realizzato
nel 1920 da Nicola Fiore
Ed anche una Santa Giovanna d’Arco, commissionata dal Duomo, che non ha mai raggiunto la guglia cui era destinata a causa dell’ostinata cura del Maestro, intento pervicacemente a migliorarla: la copia in gesso fa bella mostra di sé nel Museo Civico di Troia.
Al tempo del vescovo Paolo Emilio Bergamaschi (nominato nel 1899) esegue lavori di abbellimento nel salone del Palazzo vescovile di Troia, dove si ammirano ancora oggi.
L’Amministrazione della città meneghina gli conferisce l’incarico dell’insegnamento di Plastica nelle Scuole diurne e Disegno in quelle serali, delle quali diventerà successivamente direttore per oltre un trentennio. Nel 1930 accetta l’incarico governativo per la ricognizione delle opere d’arte di Brera e della Lombardia che non lo distrae dalla intensa attività di scultore.
Insomma, un artista che ha riscosso consensi e apprezzamenti manifestati anche dalla critica più esigente. «Penso che lo stile dello scultore Fiore – scriveva Athos Roncaglia, presidente delle Belle Arti al Collegio Lombardo e membro della Direzione della Federazione Nazionale dei Critici d’Arte, su Il Rosone del dicembre 1978 – si possa definire classico-moderno. Classico per la pregnanza di significato, l’armonia dei volumi. Moderno per l’esecuzione rapida, nervosa specialmente negli splendidi ritratti. Anche l’Uomo risulta di singolare statura morale… Un vero Uomo, dunque, ed un vero Artista dallo stile personalissimo... ».
Dal matrimonio con Antonietta nascono cinque figli: tra questi Lucia che sposa Lodovico Magugliani, storico dell’arte e perito di fama internazionale, il quale entra in piena sintonia con il suocero Nicola proprio in virtù dei comuni interessi culturali. Di Lodovico Magugliani lo storico dell’Arte Mario Monteverdi ha scritto, in occasione della sua prematura scomparsa avvenuta nel 1982: «… Fu studioso attento, profondo, appassionato… Fu interprete acuto di situazioni, dati, documenti. Fu analista preciso e storico scrupoloso. Ma fu soprattutto uno studioso che non dimenticò mai di porre in relazione la propria visione dell’umanità con ciò che quotidianamente svolgeva sia sul piano della professione, sia su quello familiare». (Il Rosone, marzo-aprile 1982)
Anche Lodovico, insomma, si è realizzato come uomo e studioso di grande personalità ed elevata statura culturale e morale.
Tornando a Nicola Fiore, occorre ancora ricordare che ci ha lasciati l’1 marzo 1976, all’età di 95 anni e, per sua volontà espressa pochi giorni prima della morte, tutte le sue opere in gesso sono state donate al Museo Civico di Troia (ufficialmente inaugurato nel dicembre 1981), consentendo così l’allestimento di una gipsoteca che oltre all’indubbio valore artistico possiede un intrinseco e vigoroso significato affettivo. « Mio padre – afferma ancora la figlia Lucia – pur educandoci in modo severo, fu dolce; egli ci ha lasciato un indimenticabile esempio del suo rigore morale e della sua umiltà, lui che, pur tuttavia, era consapevole della sua arte. Alla sua città ha lasciato tutti i suoi modelli, fatica e sogno di un’intera vita».
Nella Sala consiliare di Palazzo d’Avalos, sede della municipalità troiana, un grande altorilievo raffigurante lo stemma della città, opera di Nicola Fiore, si mostra come testimonianza imperitura del legame profondo dell’artista con la sua città d’origine.
La circolarità di cui dicevamo in apertura ha avuto, dunque, la sua compiutezza. Ciò che da Troia è partito, a Troia è ritornato. Questo percorso, silenzioso e virtuoso allo stesso tempo, ha il sapore forte della riconoscenza alle radici, dell’esaltazione di valori ormai piuttosto sbiaditi, se non in via d’estinzione: il senso dell’appartenenza a una storia e ad una comunità, un sentimento identitario che appaga i protagonisti di questa edificante vicenda e deve rendere orgogliosi i troiani della presente e delle future generazioni.