Il Paese squassato dagli esiti di un conflitto disastroso che ha prodotto centinaia di migliaia di vittime e lascia in eredità la prospettiva di un’immane ricostruzione materiale e contrapposizioni ideologiche laceranti. Un conflitto dal quale l’Italia emerge sconfitta, indebolita nella sua autostima, nella credibilità internazionale, relegata in uno stato di soggezione politica all’interno di tutti i consessi internazionali in cui si discuta o si ridiscuta dell’assetto geopolitico europeo post bellico. Tanto da far affermare al Presidente del Consiglio
dei ministri Alcide De Gasperi, in sede di Conferenza di pace di Parigi del 10 agosto 1946: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me"
È la fotografia dell’Italia al termine del secondo conflitto mondiale, nei giorni successivi al 25 aprile 1945, data simbolica della liberazione dalle forze nazifasciste, benché questa condizione si sia realizzata concretamente soltanto qualche giorno dopo. Ci si pone all’opera per avviare la rinascita del Paese: non sono sufficienti le residue risorse ancora possedute, occorre affidarsi a un decisivo aiuto che giunge dagli Stati Uniti d’America attraverso il Piano Marshall. Risorse che, per approdare a risultati tangibili e risolutivi, pretendono amministratori illuminati, lungimiranti, capaci, di comprovata esperienza e in possesso di qualità e tensione morali di livello superiore.
L’Italia può avvalersi di governanti, appartenenti a forze politiche diverse, con le doti utili ad assecondare il gigantesco processo di ripresa e di riedificazione strutturale, umana, istituzionale e costituzionale. E, a fiancheggiare gli uomini della politica, un drappello di alti funzionari probi, silenziosi, discreti quanto leali, in grado di indirizzare le sorti della nazione verso un rilancio rapido e sicuro, nonostante la disastrosa situazione dalla quale si parte.
Di questo gruppo di onesti, operosi e integerrimi funzionari dello Stato, fa parte il pugliese Donato Menichella (Biccari, 23 gennaio 1896 – Roma, 23 luglio 1984) che riveste un ruolo determinante e di primissimo piano nella tutt’altro che agevole gestione del dopoguerra italiano.
Nato a Biccari, un paesino dei Monti Dauni in provincia di Foggia, il 23 gennaio 1896, da genitori contadini, Menichella completa gli studi superiori al Regio Istituto Tecnico “Pietro Giannone” del capoluogo daunio, quindi frequenta l’Istituto di Scienze Sociali “Alfieri” di Firenze dove consegue la laurea in Scienze Sociali, nel 1920, al rientro dall’Albania, paese in cui aveva preso parte al primo conflitto mondiale come ufficiale d’Artiglieria. Dal matrimonio con Anita Moffa, celebrato il 22 maggio 1922, nascono Vincenzo, Franco ed Irene. I suoi antenati, appartenenti all’antica famiglia Iosa, erano banchieri.
Fin dall’inizio della sua carriera professionale Menichella riveste incarichi di assoluto prestigio e responsabilità, sempre assolti con illuminata inflessibilità e coerenza.
Dal 1934 al 1943 è Direttore generale dell’IRI, Istituto che contribuisce a fondare negli anni Trenta. Vinta una Borsa di studio per ex combattenti, lavora presso l’Istituto Nazionale per i Cambi con l’Estero, prima di essere assunto dalla Banca d’Italia.
In seno all’Istituto di via Nazionale, è prima Direttore generale (dal 1946 al 1948) e, successivamente, dimessosi Luigi Einaudi perché eletto alla carica di Presidente della Repubblica, Governatore per il periodo che va dal 1948 al 1960, anno in cui è costretto ad abbandonare l’incarico per motivi di salute.
Nel 1947 accompagna Alcide De Gasperi negli Stati Uniti, riuscendo a ottenere un finanziamento di 100 milioni di dollari, il primo prestito di carattere commerciale che l’Italia ottiene nel dopoguerra, fondamentale per l’opera di ricostruzione del Paese. Nel 1950 è tra gli ideatori della Cassa per il Mezzogiorno.
Competenza e rigore morale sono ben impressi nel suo DNA, risultando doti decisive per traghettare l’Italia dalle rovine della guerra al boom economico degli anni Sessanta.
Donato Menichella è unanimemente considerato uno dei più grandi economisti italiani del XX secolo, custode severo delle sorti della lira che guida e orienta in un periodo in cui l’inflazione viaggia al ritmo del 7,5% al mese e del 90% all’anno.
Nel delicato e impegnativo ruolo di Governatore della Banca d’Italia, riporta la nostra moneta nell’alveo di una normalità che sembra impossibile da raggiungere, facendo meritare alla lira, nel 1960, il prestigioso “Oscar” quale valuta più stabile al mondo e a se stesso l’Oscar quale most successful central banker. Riconoscimenti entrambi assegnati dal Financial Times.
Persona molto riservata e discreta, compare nelle cronache giornalistiche esclusivamente per i risultati del suo lavoro. Si nega a qualunque mandato politico-istituzionale: respinge la proposta di nomina a senatore a vita, rinuncia all’incarico di ministro del Tesoro e alla candidatura di Capo dello Stato.
La dedizione assoluta alla causa del Paese che anima l’operato di Donato Menichella, l’induce a richiedere, ottenendolo, il dimezzamento della pensione da Governatore della Banca d’Italia e, da Direttore generale dell’IRI, si autoriduce lo stipendio.
Davvero una figura di uomo esemplare, il cui operato è sempre improntato a una condotta morale intransigente che rende improponibile un confronto con le diffuse e sfrenate ambizioni dei nostri giorni.
Donato Menichella si spegne a Roma il 23 luglio 1984, lasciando di sé una testimonianza di dedizione alla causa del Paese senza precedenti per intensità e rettitudine, alimentando in tutti noi l’orgoglio di poterlo annoverare tra i pugliesi più illustri che hanno onorato la terra d’origine.