Grazia Deledda nasce a Nuoro il 28 settembre 1871. È ricordata come la prima donna italiana a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1926 (fino ad ora è stata anche l’unica). Canne al vento è l’opera sua più nota. Il romanzo esce a puntate su L’Illustrazione italiana dal 12 gennaio al 27 aprile 1913 e nello stesso anno è pubblicato dall’editore Treves di Milano.
La storia di Canne al vento è ambientata a Galte e ruota attorno ad una nobile famiglia in declino, composta da tre sorelle, le Dame Pintor e da Efix, l’anziano servitore. Il padre, Don Zame, muore nel vano tentativo di inseguire Lia, la figlia minore, fuggita sul Continente.
L’alter ego della Deledda è Efix, tramite il quale l’autrice descrive e nel contempo recupera lo stretto legame con la sua terra natìa: la Sardegna.
Il romanzo si apre con l’immagine di Efix seduto sulla bianca Collina dei Colombi, mentre contempla l’argine in fondo al poderetto lungo il fiume, che lui stesso ha costruito un po’ per volta tanto da sentirlo suo e da rappresentare il mondo intero. Il mondo è il luogo di penitenza, dove è difficile affermarsi per quello che si è, in quanto la vita stessa è fondata su congetture, sicché Efix trova sollievo solo nella contemplazione della luminosità della natura, che infonde sicurezza e serenità.
La Deledda sembra quasi dipingere i paesaggi, dando l’idea di una monocromia: il cielo rosso, la collina bianca, il ciglione glauco di canne. Efix preferisce una vita solitaria e tranquilla, ma l’arrivo di Giacinto, il figlio di Lia, sconvolge lo status quo della famiglia e riaccende nuove speranze, che si rivelano va-ne; anche Giacinto è un disgraziato, si innamora di Grixenda, una povera contadina nipote della vecchia Pottoi e vuole sposarla; in ciò si legge il desiderio della Deledda di voler mutare la società, ma il cambiamento che Giacinto vive nel romanzo sottolinea la velleità di tale desiderio. Infatti Giacinto in paese gioca, fa debiti, firma cambiali con il nome delle zie, mostrandosi spesso di animo generoso, ma velleitario nei propositi, è costretto poi a fuggire.
Il giovane Giacinto rappresenta metaforicamente il progresso che comincia a diffondersi: in-fatti arriva al paese in bicicletta, una delle innovazioni dell’e-poca, quando lì si andava a cavallo.
Tutti gli avvenimenti sono riconducibili al passato: Efix è colui che porta il fardello più pesante, il senso di colpa per l’uccisione involontaria di Don Zame, che voleva fermare la fuga di Lia. Tale senso di colpa nel corso della vita si tramuta in profonda dedizione e amore verso le dame Pintor ed Efix nella sua umiltà e dedizione, nella sua piccolezza mostra sensibilità e grandezza d’animo. Per quanto il vento possa sferzare l’uomo simile ad una canna, lo piegherà, ma non lo spezzerà mai.
Fin dall’inizio emerge dal romanzo la figura di un Dio trascendente che può o meno concedere aiuto all’uomo durante la vita, la chiave di lettura dei fatti è per il servo il provvidenzialismo, in cui Efix ripone tutte le aspettative. Perciò durante la giornata non manca la preghiera che s’intreccia con il lavoro in forme quasi francescane ed è la figura che partecipa alla religiosità del romanzo con maggiore pienezza, tale che in alcuni momenti rimanda a un panteismo, riconoscendo Dio nella Natura, dotata di sacralità.
GRAZIA DELEDDA
La scrittrice sarda famosa in tutto
il mondo, unica italiana alla quale nel 1926 è stato assegnato il Nobel per la Letteratura
Il romanzo è ricco di osservazioni e descrizioni del paesaggio, secondo i canoni del Verismo: è un viaggio attraverso la Sardegna primordiale e arcaica alla scoperta di usanze caratteristiche e tradizionali, di elementi misteriosi e fantastici Il tema fiabesco e magico emerge molto forte sino a immedesimare i personaggi nella natura – panismo; la Deledda però è partecipe, anche, delle istanze del decadentismo. Le descrizioni ambientali assumono un carattere lirico e autobiografico, la sua è una rappresentazione soggettiva della realtà, il distacco dal verismo è proprio nella mancanza di oggettività.
La Deledda cerca di sollevare in tutti i modi il problema del Mezzogiorno, dell’istruzione, del decentramento regionale, il rapporto fra stato e chiesa.
Il tema del “viaggio”, della “strada”, della “salita” hanno un valore simbolico, diventano sempre più profondi e vengono ripresi spesso, soprattutto nel rapporto con Efix. Infatti per lui il viaggio è purificazione e la vita è davvero un “viaggio”, un viaggio religioso che ha inizio proprio nel modo in cui ha avuto inizio il suo “viaggio della vita”, chino per ascoltare, ora, il cuore del mendicante e di don Zame, in passato.
Fa l’esperienza da mendicante ed è sentita da Efix come percorso di purificazione, in quanto ciò che muove il servitore è il “senso di colpa”, che lo rende “malato”.
Il senso di smarrimento della coscienza è evidente, la natura umana è lacerata tra bene e male e gli uomini sono descritti nelle loro fragilità, in balia degli eventi, che solo l’amore incondizionato potrà salvare.
Efix sente la sua vita giunta al termine. Anche la natura, le canne, segnano la vittoria di Thanatos: solo le foglie delle canne si muovevano sopra il ciglione, dritte rigide come spade che s’arrotavano sul metallo del cielo.
La Deledda ha scelto per il protagonista il nome Efix, perchè ricorda fonicamente i sirinx, strumenti musicali fatti appunto di canne, la cui musicalità richiama il fruscio delle canne mosse dal vento.
L’autrice, attraverso la rovina del singolo, dell’individuo che nonostante la sua volontà, il suo impegno, il travaglio di una vita, non può raggiungere quanto desidera se non in una realizzazione postuma del beffardo destino, induce il lettore a pensare che l’esistenza sia decisamente imprevedibile e che le vittorie o le sconfitte del singolo siano ottenute solo con la mediazione del fato, il solo in grado di determinare gli eventi, di modificarli, di mutare il loro corso: “Siamo proprio come le canne al vento, siamo canne e la sorte è il vento”, afferma Efix.