Dal Naturalismo al Verismo: Verga

Nei suoi romanzi Giovanni Verga si avvicina alla dimensione cristiana che lo rende sensibile al dolore degli ultimi

Quando si parla del Verismo occorre richiamarsi ai naturalisti francesi, a Balzac, a Zola, a Flaubert, a Maupassant, dai quali i nostri scrittori avrebbero tratto i loro modelli. In realtà intorno alla metà dell’800 si manifesta in tutta Europa un rinnovato interesse per le scienze, per il concreto, per l’attenta osservazione della realtà e alle forme della scienza si volgeva la stessa letteratura, che reagiva spontaneamente ad un romanticismo ormai stanco e lacrimoso, completamente staccato dalla realtà concreta.

La nuova corrente letteraria che si sviluppa in Francia, il Naturalismo, trova una delle sue prime affermazioni nella narrativa di Honorè de Balzac, i cui personaggi sono tutti rappresentati negli intrighi e nelle ansie della vita concreta, generalmente legati alla brama dell’oro e dominati da violente passioni.

Il Naturalismo francese, in definitiva, si proponeva l’analisi fredda della realtà osservata con occhio scientifico e con rigorosa oggettività, senza alcuna partecipazione emotiva dell’autore a quanto narrato. Era, infatti, canone fondamentale della poetica naturalista la impersonalità dell’arte, che diveniva puro documento di situazioni, fatti, caratteri, ambienti. È significativo che il genere letterario preferito in questo periodo sia stato quello del romanzo o del racconto, perché più idoneo a contenere elementi oggettivi estranei al mondo dell’autore. Tutto questo naturalmente è vero solo in parte perché ogni singolo scrittore naturalista, pur osservando con occhi attenti la realtà e rappresentandola minuziosamente, non poteva non dare, descrivendo il mondo morale dei suoi personaggi, la sua personale interpretazione della vita.
La famosa impersonalità dell’arte che portò Balzac a trarre i suoi personaggi da tutti gli strati sociali per comporre la sua riuscita satira della società borghese, venne infatti già meno negli altri scrittori naturalisti, i quali volendo fare della loro opera narrativa uno strumento di lotta sociale contro la società capitalistica borghese, si opposero alla proclamata impersonalità dell’opera d’arte, scegliendo i loro personaggi tra quelli che più crudamente rappresentavano gli strati più bassi della società.

Di questi ambienti in cui la miseria e il vizio si identificavano, i naturalisti rappresentarono dunque gli aspetti più brutali; tale tendenza perse poi, anche le caratteristiche primitive di lotta sociale e divenne una vera e propria moda. Il mondo che i naturalisti descrissero presenta, infatti, aspetti fortemente coloristici e i romanzi del periodo si popolano di una moltitudine di ladri, prostitute, parassiti, fannulloni osservati nelle loro quotidiane miserie. Anche in Italia, in particolar modo dopo le lotte per l’indipendenza e il raggiungimento di questa, l’esigenza di accostarsi maggiormente al reale si fece sentire e il Verismo divenne la via tutta italiana del naturalismo francese.









Teorizzatore della nuova tendenza in Italia fu Luigi Capuana, il cui verismo apparve però piuttosto contraddittorio, perché egli non riuscì nelle sue opere a guardare con distacco situazioni e personaggi. Il Verismo inoltre, non descrisse, come il Naturalismo francese, la sotto società della metropoli (Parigi), ma spostò il suo interesse all’osservazione del popolo umile, semplice e povero della provincia, dove la civiltà non aveva ancora cancellato bisogni e sentimenti primitivi: si trattava di creature dolorosamente legate al proprio ambiente e alle proprie tradizioni.
Il Verismo, in sostanza, contribuì a spostare la nostra letteratura verso il reale, lo stesso romanzo manzoniano I promessi sposi per alcune scene fortemente realistiche, quali il tumulto di Milano, il lazzaretto, la peste, per l’attenzione rivolta al popolo e ai suoi sentimenti, per la precisa analisi del periodo storico in cui si inquadrava la vicenda fantastica e per la minuta descrizione di alcuni paesetti del Comasco, i Promessi Sposi possono considerarsi addirittura il primo esempio di romanzo della “provincia”.
Il problema della lingua, già affrontata dal Manzoni, tornò in primo piano con gli scrittori veristi che, abbandonato il linguaggio aulico e tradizionale, si rivolgono alla lingua parlata, ricorrendo spesso al dialetto delle singole regioni e al linguaggio quotidiano ricco di espressioni colorite e proverbi. Verga come il Manzoni, ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita, ma mentre nel Manzoni il pessimismo è confortato dalla Fede, dalla certezza che Dio non procura dolore agli uomini, se non per prepararli ad una gioia più grande, nel Verga la sventura non trova giustificazione se non nella volontà del fato che sovrasta sulla vita degli uomini. L’uomo, perciò, non può mutare la propria esistenza, ma deve accettarla con rassegnazione.

Con Verga si realizza una letteratura populista e realistica, la sua arte diventa studio di una precisa situazione sociale, soprattutto degli strati più bassi, nasce, pertanto, una visione pessimistica e tragica della vita. In Mastro Don Gesualdo c’è tutta la tematica verghiana, cioè la condizione umana nelle sue forme più cupe: la lotta per la ricchezza, la solitudine nella morte, la tolleranza mal vissuta per i nuovi ricchi. Non c’è amore in Mastro Don Gesualdo, Bianca Trao, la sua sposa è solo il possesso di una passione. Infatti egli non riuscirà a comprendere la moglie, né ad essere compreso, sarà ripudiato dalla figlia, rimarrà come un estraneo in casa sua e morirà sconsolatamente solo. Il suo unico vero amore è la “roba”.
La poetica verghiana della “roba” e della “casa” si ripete nelle novelle, in particolare ne “La lupa”, questa novella esprime la concezione dell’amore nelle sue forme più aspre e tormentose. Problema fondamentale per Verga fu quello linguistico, poiché lo scrittore doveva trovare un linguaggio atto ad esprimere mondo e sentimenti dei suoi personaggi: pastori, contadini, pescatori siciliani. La sua è stata definita da Luigi Russo una prosa parlata in cui il dialetto siciliano fa la parte del leone.

I personaggi si esprimono nella loro lingua ricca di modi di dire, proverbi e sgrammaticature; gli umili del Verga sono molto diversi da quelli manzoniani, questi ultimi sono popolani lombardi del XVII secolo, che tuttavia non sapremmo immaginare diversi se il Manzoni avesse ambientato il romanzo in un’altra regione o in un altro secolo. Essi sono vicinissimi a noi e sembrano avere problemi, sentimenti, convinzioni morali molto simili ai nostri. Gli umili del Verga invece appartengono ad un mondo molto diverso dal nostro, ad una umanità che non conosce la civiltà e vive chiusa nella sua miseria, nella sua sofferenza, in lotta quotidiana per la sopravvivenza. Questo pessimismo viene considerato un limite della poetica verghiana, ma in realtà questo limite non è di Verga come persona, ma della società in cui viveva, la società borghese di quel tempo che naturalmente non pensava, né tantomeno desiderava una prospettiva di cambiamento.

Posted

08 Jan 2023

Storia e cultura


Tina Ferreri Tiberio



Foto dal web





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