Quando si parla di emigrazione italiana – verso qualunque parte del pianeta, ma soprattutto verso gli Stati Uniti – le vicende umane delle persone non sono mai disgiunte dai percorsi professionali. A testimoniarlo, le avventure esistenziali di milioni di individui che dalla fine dell’Ottocento e fino agli anni Cinquanta del Novecento, hanno attraversato l’oceano con alterna fortuna ma sempre legando alla storia individuale gli aspetti umani e quelli professionali e lavorativi. Spesso raggiungendo traguardi e affermazioni che hanno dato lustro alla persona e al Paese d’origine.
In questo profilo si inserisce alla perfezione Joseph Tusiani - uomo di cultura di elevatissimo livello, uno dei più grandi latinisti del nostro tempo, traduttore di molti classici italiani in lingua inglese e dall’inglese in latino e viceversa - che lo scorso 11 aprile è scomparso a Manhattan, all’età di 96 anni. Tusiani era originario di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, dove era nato il 14 gennaio 1924 e da cui era partito all’età di 23 anni, nel luglio del 1947, subito dopo aver brillantemente conseguito la laurea in Lettere presso l’Università di Napoli con una tesi sul poeta William Wordsworth.
Il papà Michele, calzolaio, era emigrato nel Bronx sei mesi prima che Giuseppe (poi diventato Joseph…) nascesse. La mamma, Maria Pisone, sarta, con enormi sacrifici asseconda la vocazione del figlio per lo studio e lo sostiene fino alla laurea, compresa una passeggera parentesi in cui Giuseppe frequenta alcuni seminari comboniani del Nord Italia col desiderio di abbracciare il sacerdozio. Il 6 settembre del 1947, soltanto qualche settimana dopo aver terminato gli studi universitari, con mamma Maria sbarcano a New York: la donna può riabbracciare il marito che non vedeva da 23 anni e Giuseppe comincia finalmente a pronunciare la parola ‘papà’.
È davvero una storia d’altri tempi che si arricchisce e si completa con la nascita di un secondo figlio, Michel Dante, americano a tutti gli effetti, affermatosi come uno dei petrolieri di maggior successo di tutti gli Stati Uniti d’America.
Joseph Tusiani ha rappresentato un fenomeno unico e di enorme rilevanza qualitativa negli USA della seconda metà del Novecento e fino ai giorni nostri. In possesso assoluto di quattro lingue - italiano, latino, inglese e dialetto garganico, come orgogliosamente sottolineava - le ha adoperate tutte, facendone strumento di creatività e di scrittura attraverso la poesia, soprattutto, e la narrativa. In più, la padronanza di queste lingue gli ha consentito operazioni culturali di grande significato come la traduzione di opere da una all’altra di questi quattro idiomi. Tale poliedricità lo ha imposto al mondo culturale americano e mondiale come un fenomeno pressoché unico.
Già dall’anno successivo al suo arrivo in America comincia a insegnare in due istituzioni, il College of Mount Saint Vincent e il Lehman College, della City University of New York, ambedue nel Bronx, raggiungendo rapidamente il massimo grado, quello di full professor, dando il via a una brillantissima carriera accademica.
Dimostra subito che la sua vena creativa è indirizzata verso la poesia. Aveva pubblicato alcune liriche già all’età di 18 anni, ma la spinta decisiva gli deriva dall’incoraggiamento convinto di Frances Winwar, scrittrice americana di origini siciliane (Francesca Vinciguerra, nda) notissima, tra l’altro, per la magistrale traduzione in inglese del Decameron di Giovanni Boccaccio. La Winwar lo convince a uno studio intenso della letteratura angloamericana e della lingua inglese, oltre che a scrivere poesie in tale lingua. Una sua lunga poesia, The Return, vince il prestigioso Premio Greenwood, a Londra, nel 1956. Segue la pubblicazione di raccolte di poesia, ancora in inglese.
Nel 1960 avvia una pregevole attività di traduzione poetica che rimane come una tappa ineludibile per la conoscenza di alcune delle opere più significative della letteratura italiana nell’America del Nord.
Traduce, e pubblica, in inglese tutte le Rime di Michelangelo, tutte le liriche di Dante, il Ninfale Fiesolano di Boccaccio, il Morgante del Pulci, tutti i versi di Machiavelli, la Gerusalemme Liberata e Mondo creato di Torquato Tasso, i Canti di Giacomo Leopardi, le Grazie di Giovanni Foscolo, un’antologia in tre volumi che presenta 113 poeti e 581 composizioni da San Francesco al futurismo. E, ancora, poemetti diversi dello stesso Tasso, di Manzoni, del Pascoli.
Non trascura, naturalmente, la poesia in latino la cui copiosa produzione può contare su una raccolta in tre volumi. Questo suo interesse specifico lo porta a essere considerato come uno dei più rappresentativi poeti neolatini contemporanei.
La produzione in lingua italiana sembrerebbe essere passata in secondo piano rispetto al resto, ma anche nella sua lingua madre scrive opere di assoluto rilievo. Per tutte ricordo un’autobiografia in tre volumi - La parola difficile, La parola nuova, La parola antica - pubblicata dall’editore Schena di Fasano tra il 1988 e il 1992. La trilogia rientra nel filone etnico della produzione di Tusiani, che si occupa prevalentemente della storia e dei fatti dell’emigrazione.
Joseph Tusiani ha scritto nel suo dialetto garganico numerosissime raccolte di poesia riunite nel ponderoso volume Storie dal Gargano (2006), in fortunata coincidenza con il rinnovato interesse per la poesia dialettale in Italia.
Non si contano i prestigiosi avvenimenti di cui è stato protagonista e i riconoscimenti a lui destinati. Tra tutti va evidenziata l’incisione di alcune sue poesie per gli Archivi della Biblioteca del Congresso Americano, su invito del Presidente John Kennedy.
Essere assurto ai vertici del variegato movimento culturale contemporaneo americano non aveva scalfito la sua innata cordialità nei rapporti con le persone, la sua disponibilità, il garbo e la modestia che sono doni riservati ai ‘grandi’. Ho goduto della buona sorte di frequentarlo in alcuni dei suoi periodici e frequenti rientri nell’amata e mai dimenticata San Marco in Lamis, sempre accolto e festeggiato da vecchi e nuovi amici, come se non si fosse mai allontanato dalla cittadina garganica. Qui si rifugiava per alcune settimane in un suo appartamentino che aveva voluto fosse prossimo alla misera abitazione che gli aveva dato i natali. Per un certo tempo mi ha gratificato di una regolare e godibilissima corrispondenza via e-mail.
Da qualche anno era stato costretto a rinunciare al piacere di ritornare a rigenerarsi alle sue radici, spesso fonte d’ispirazione per le sue opere. Un ictus, che aveva superato brillantemente tanto da consentirgli la ripresa dell’attività intellettuale, gli aveva negato, rammaricandolo non poco, l’emozione del ritorno a casa.