Sorsate ristoratrici di Vittorio “Nino” Martin, è una silloge pungente e disarmante per certi versi poiché presenta una vera e propria denuncia sociale insieme al degrado dei valori etico-morali dell’attuale società. L’artista, che è un autodidatta sia come pittore, sia come poeta, ha pubblicato numerose sillogi nel corso degli anni, avvertendo il bisogno di parlare del pericoloso bilico in cui si trova l’umanità.
Ha cominciato la sua attività espositiva nel 1952, prendendo parte a concorsi nazionali ed internazionali. Le sue opere pittoriche sono esposte a Venezia, Roma, Genova, Milano, ma anche ad Atene, Parigi, Bonn, Tokio, Cracovia; ha ottenuto premi e riconoscimenti tra cui il “Sigillo d’Oro Città di Pompei”, il “Premio Europeo per la Cultura”, la “Palme d’Or des Beaux Arts”, il premio “Pace nel Mondo” ed il premio “Operosità nell’Arte”.
L’ultima raccolta, impreziosita anche dai suoi dipinti, è composta da venti poesie in cui Martin scrive della violenza delle nuove generazioni, ingannate da false chimere e prive di valori; scrive della disparità economica “chi gira in Ferrari/ chi perlustra i cassonetti”, due facce dello stesso problema; ma anche delle cosiddette fakenews, create dai cronisti e dai fotografi che per apparire sono disposti a tutto; descrive il mondo proiettato al benessere falso, basato sull’apparenza e non sulla sostanza; denuncia la situazione degli emigranti “erranti al largo del mare/ secondati da brezza propizia/ silenziosi, guardinghi/ stanchi e tristi”.
Ma il nostro poeta ci suggerisce anche una modalità per ritrovare la pace e la speranza, consigliando l’unione fra le persone, la trasmissione dei valori, il rispetto delle proprie radici, l’amore per la cultura, l’onestà, la fede e la solidarietà.
Infatti scrive: “mi fermo e rifletto/ sul sentiero familiare,/ odo mamma e papà/ maniglie dell’amore”. La famiglia che diviene sostegno per la vita.
Nella prefazione Domenico Defelice afferma:
La poesia di Martin, allora, sta nel contenuto - come già detto - nella sua alta e dolente tensione per un’umanità smarrita e sofferente, che si dilania senza riuscire a trovar soluzione ai tanti suoi mali, tra i quali, a livello planetario, la mancanza di lavoro - unico elemento in grado di dare tranquillità e dignità all’uomo - e forse il conseguente sfascio delle famiglie.
Torna indietro nel tempo e ricorda il linguaggio del cuore, ossia la voce della mamma ed il suo dialetto, fino ad arrivare alle barriere architettoniche che tor-mentano l’esistenza di coloro i quali non riescono a raggiungere ciò che vogliono.
C’è una severa condanna al progresso e alla maniera di vivere di una parte della società: “In vacanza col mutuo/ tutti ricchi senza soldi”. La sua cruda analisi ci porta all’ultima poesia Posto fisso, che chiude la silloge, ricordando a tutti: “la vita è un passaggio,/ solo oltre sarà svelato/ il più grande mistero”.
Ciò che siamo, ciò a cui tendiamo va ben oltre l’apparenza, le ricchezze, le vacanze e ahimè lo capiremo solo alla fine di questo splendido viaggio che si chiama vita.
Prefazione di Domenico Defelice
Il Croco/Pomezia-Notizie