Sono candidato al Nobel. E allora? Per la mia pochezza è come averlo ricevuto. Non ci spero.
Già da queste poche parole, si può capire chi fosse Rudy De Cadaval, pseudonimo di Giancarlo Campedelli nato a Verona nel 1933 e morto ad Altipiani di Arcinazzo nel 2021.
La raccolta è composta da sette sezioni: La prefazione dell’autore, L’introduzione di Isabella Michela Affinito, La poesia, Il romanzo, La critica, Rudy De Cadavl nella critica, infine l’appendice con bibliografia, biografia ed epistolario.
Si rimane sempre affascinati dal lavoro critico e certosino di Tito Cauchi, che in questo lavoro esamina la vita e le opere di un autore che definisce antipoeta. Se il prefisso anti si riferisce al termine che deriva dal greco, allora ci troviamo davanti a un poeta che è in contrapposizione, in contrasto o fuori dai canoni per definizione stessa.
Come precisa Isabella Michela Affinito nell’introduzione: “Figlio di un operaio delle ferrovie (fattore comune con Salvatore Quasimodo) non per questo si sentì inadeguato per accedere al mondo intellettuale e così ‘strada facendo’ lavorava negli alberghi e nei bar per mantenersi da vivere, mentre da autodidatta componeva poesie e partecipava ai cast cinematografici di pellicole italiane”.
Sicuramente De Cadaval ha avuto una vita all’insegna delle forti emozioni: dal lutto alle esperienze con altri scrittori nazionali e internazionali che lo hanno arricchito notevolmente. Ha avuto molte critiche favorevoli durante la sua lunga esistenza.
Morì all’età di 88 anni. Era un artista completo: poeta, scrittore, attore, sceneggiatore; ha conosciuto e frequentato Ernest Hemingwai, Enzo Biagi, Andrè Maurois, Giuseppe Ungaretti, Giacomo Spagnoletti, Natalino Sapegno, Salvatore Quasimodo e tanti altri.
Il premio Nobel Giuseppe Ungaretti lo ha scoperto mettendolo in evidenza.
In una missiva a Cauchi scrive: “Lei apre il Suo intervento citando il riconoscimento ricevuto. Ma, onestamente, le sembro un poeta così importante?”
Un uomo, prima che un artista, semplice, umile e dalla grande sensibilità.
Scrive Cauchi a proposito dell’opera L’ultimo chiarore della sera: “La poesia eponima mi fa immaginare i tanti lutti nati dall’ultimo conflitto mondiale, ma credo che all’ombra di tutte quelle croci, ci sia tristezza nel cuore del Poeta per un dolore incontenibile in cui si celi un suo segreto. Pertanto l’ultimo chiarore potrebbe essere l’eco dei ricordi dell’infanzia, per la guerra; o quello della sera come per una città del vizio; o forse metaforicamente quello del tramonto della vita; o chissà che non ritratti di un addio alla vita stessa”.
La genuinità e la riservatezza di questo poeta si legge nei suoi scritti, tra le sue parole:
“Lettera manoscritta. Verona, 20/II/2004
Carissimo e Stimatissimo Tito,
non finirò mai di ringraziarti per tutto quello che vai scrivendo sui miei versi. La tua recensione l’ho passata al Corriere di Roma. Meglio che altri scritti siano volatilizzati. Non ci tengo a essere incensato. È passato il tempo delle illusioni, oggi non faccio altro che registrare la mia pochezza. Invece mi dispiace per il tuo lavoro, che sono certo hai redatto con tanto amore, e che ritengo di non meritare”.
Il lavoro del professore, anche in questo caso, fa riflettere sul grande panorama artistico del nostro Paese: “Rudy De Cadaval è stato tante cose, come è descritto nella biografia. Egli non si vantava di essere questo o quest’altro; non era unidirezionale; perciò usciva dai consueti canoni poetici. Per questa ragione mi limito, in tutte le mie recensioni, a quanto sta scritto sui libri, al testo letterale, cercando di non scrivere esattamente il mio retropensiero, anche per non varcare oltre l’interiorità dell’autore”.