Il volume presentato da Fabio Dainotti è composto da sette poemetti: Lamento per la morte di Gi-na, Notte a Vigevano, La zia Letizia, Due modi d’aver cinquant’anni, Al bar di Michele, Cimitero marino, Famiglia. I poemetti sono componimenti letterari di carattere narrativo, il cui tema principale, in questo caso, è il senso della vita, rappresentato od evocato attraverso l’idea del viaggio mentale. Un viaggio vissuto a ritroso nel tempo, ricordando gli accadimenti e le persone più importanti della propria vita. E come tutti i poemi che si rispettino, termina con il compimento della missione da parte del narratore/eroe; difatti al poeta, già da giovane, era stata assegnata la funzione di scriba del tempo e della memoria.
Così, l’autore definisce un quadro quasi completo delle vicende che più lo hanno segnato e delle persone che sono state importanti per lui. Apparentemente sembrano frammenti sparsi di vita vissuta, ma al termine della lettura, si ha una visione unitaria. L’eroe/narratore, dunque, compie la sua missione nonostante gli ostacoli e la precarietà della quotidianità.
Lo stile del poeta è semplice, senza retorica, un dialogo intimo, ma evocativo allo stesso tempo. Commuovono i suoi versi poiché suscitano emozioni forti da una parte e semplicemente umane dall’altra. Non vi è retorica o ridondanza. Il susseguirsi dei versi, nella lettura spedita, genera una musicalità nostalgica, il suono dei versi cantati dà l’idea del senso di una vita libera, dinamica, fresca, ma anche con un estremo bisogno di punti fermi come, ad esempio, la casa della zia Gina, nella quale andava a rifugiarsi e direi anche forse a ricaricarsi.
Fabio Dainotti è nato a Pavia nel 1948 e vive a Cava de’ Tirreni. Ha pubblicato, nel tempo, tantissime raccolte di poesie, con risultati importanti; ha collaborato a numerose riviste ed è presente in altrettante antologie; ha curato la pubblicazione de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco per la Bulzoni Editrice nel 2010 ed è attualmente condirettore dell’annuario di poesia e teoria Il pensiero poetante. Particolarmente commovente il poemetto che dà il titolo all’opera, ossia Lamento per la morte di Gina. Nella prefazione Enzo Rega scrive: “La lamentazione per la morte della zia assume un significato universale, ‘cosmico’, non solo come rivisitazione personalizzata d’un genere letterario, ma anche per gli squarci contenutistici che vi si aprono”. I versi scritti scorrono come un fiume in piena, parole che ricordano, evocano, ricostruiscono lo svolgersi di una vita intera. La parola con il suo valore catartico, la poesia con il suo valore creativo (ricordiamo che il termine poesia deriva dal greco poiesis e vuol dire creazione), unite alla cifra stilistica dell’autore, danno forma ad un lavoro delicato, commovente che induce il lettore ad una partecipazione affettiva.
Per me non c’è più la tua casa,/ con l’albero piantato dal nonno nel giardino,/ dove potevo arrivare senza preavviso,/ e avresti riso di contentezza nel vedermi; [...] Eri grandissima, con tanti difetti, ma anche con tante virtù; [...] Con te se ne è andata gran parte della vita; [...] Tutto questo eri tu per me, per noi;/ e adesso che non ci sei più, con te, per sempre,/ tutta la nostra casa è seppellita.
Nella poesia di Dainotti avviene “una corrispondenza d’amorosi sensi”. Le parole come unico ed ultimo scambio d’amore, che rimangono per questo immortali. Il ricordo di lei, di ciò che è stato, ora è di tutti quelli che lo leggeranno ed allora, la poesia diventa immortale.
La traduzione in lingua inglese, a cura di Nicola Senatore e Myriam Russo, è sicuramente più lineare, più pragmatica, con accenti e dunque pause diverse, ma non per questo meno musicale o poetica e si distingue per il tono imponente e più lapidario.
Now you lie down with your nice face,/ disappearing into the skull,/ I won’t be allowed to se you, non speak,/ never on your lire,/ as you are dead for ever; oppure Why I ought to be the scribe/ I’ve never known.
Il verso ha un tono quasi risolutorio. Dunque, nonostante la lingua italiana sia stata definita, in musica, la lingua del ‘belcanto’ grazie ai virtuosismi della voce, prodotti dal susseguirsi di toni morbidi e gravi, anche la lingua inglese, per la sua struttura sintattica prestabilita, dona ai poemetti una veste ritmica più solenne, più rigorosa rispetto alla morbidezza di quella italiana.
Traslated by Nicola Senatore and Myriam Russo -
Introduction by Enzo Rega
Gradiva Publications, 2019