Fuori dell’ombra e al chiarore delle parole, con premessa di Fiorenza Castaldi, prefazione di Gloria Galante, introduzione e nota di Massimiliano Pecora e antologia delle opere premiate, è il primo volume della Collana “Quaderni del Centro Studi Sisyphus” di Gangemi Editore International.
Nella premessa la Castaldi, direttrice del Centro Studi Sisypuhs, spiega ai lettori: “Il frutto di questa selezione e del rigoroso criterio che l’ha guidata è raccolto in questo volume, nato dal sostegno dell’amministrazione comunale e dal lavoro del Centro Studi Sisyphus, allo scopo di portare fuori dell’ombra e al nitore delle parole il talento dei vincitori delle sezioni in gara nella XXVIII edizione del Premio letterario internazionale Città di Pomezia”.
Continua Gloria Galante, direttrice del Museo Lavinium, nella prefazione: “Come il Sisifo di Albert Camus, i fondatori del Centro Studi si dispongono a far fede a sé stessi e all’etica del proprio impegno per la ricerca scientifica, nel tentativo – questo sì di ascendenza mitologica – di ingannare la distruttrice mola del tempo da cui si salvano solo quanti ambiscono a superare, con l’impegno intellettuale e civile, il macigno della ristrettezza culturale, tragico e terribile emblema della nostra finitudine”.
Appare chiaro lo scopo del Centro e di coloro i quali organizzano il Premio letterario, scopo alquanto nobile di scoprire il talento al di là di ogni possibile condizionamento.
La giuria, ogni anno diversa, valuta attentamente tutte le opere pervenute di ogni singola sezione, redigendo anche una scheda tecnico-critica.
Nella sezione simbolo del Premio, ossia quella della silloge poetica, si è distinta L’albero custode di Claudio Carbone, un esempio lampante di un surrealismo d’idillio coerente e compatto, in cui il paesaggio naturale diventa il pretesto per veicolare contenuti e immagini di alta espressività.
Le rose non hanno ancora un’ape; Le assenze hanno edificato l’aria/ coi destini seminati nelle serre/ mai raccolti; In quale delle due terre contese/ il golfo avrebbe inondato/ di scintille le tue aspirazioni!; Ovunque alla deriva/ flussi migratori confondono/ l’armonia dei campi; Seduto sulla riva/ aspettavo che il mare parlasse […] tutt’intorno l’acqua/ traboccava d’umanità; La foresta non fa più notizia/ nel groviglio che appaga/ nascondendo il cielo; Plastica/ i peccati non rimessi/ tra i rami/ in brandelli/ per una specie/ che sopravvive/ crocifissa.
Questi alcuni dei versi presi dalle diciassette liriche che compongono il florilegio, versi in cui vi è un evidente rimando alla società attraverso la natura e i suoi paesaggi. Si parla di terre contese, assenze, mancanze di un’umanità che è spaesata e che sopravvive ai guai causati dal suo scellerato comportamento, ma in quale modo? Come sopravvive? Crocifissa, ossia messa in croce, tormentata, accettando con rassegnazione le sofferenze e i dolori. Dunque, il poeta giunge a parlare, in maniera delicata con un lessico scelto, di questioni di un certo peso riguardanti il genere umano o una parte di esso, partendo proprio dalla natura. Sembra che la realtà che lo circonda non sia più la stessa, quasi non gli appartenga.
Nell’introduzione completa il discorso Massimiliano Pecora, storico e critico letterario: “Resta in gran parte un enigma la capacità della letteratura, delle parole e delle frasi parlate e scritte di creare, di comunicare, di rappresentare personaggi indimenticabili, personaggi con le cui vite magari arriviamo a identificare le nostre di così poco conto, e la cui durata va ben oltre la vita personale dello scrittore e del lettore. Solo la letteratura può assicurare l’essere umano dalla sua incapacità di designare ciò che ancora sfugge al nostro intelletto”.