L’Italia acclamò l’impresa come auspicio di ripresa e di riscatto dopo la seconda guerra mondiale

31 luglio 1954: una spedizione italiana conquista la vetta del K2

Obiettivo: conquista del K2
Un’impresa leggendaria rimasta nella storia del nostro Paese: il 31 luglio 1954 (settant’anni fa…) gli alpinisti italiani Achille Compagnoni e Lino Lacedelli – punta di diamante di una nutrita e qualificata spedizione – raggiungono la vetta del K2 (8.611 m), la seconda del mondo per altezza, nel complesso montuoso del Karakorum, al confine tra il Pakistan e la Cina. Il K2 è sovrastato soltanto dall’Everest (8.848 m) – conquistato poco più di un anno prima, il 29 maggio 1953, dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norgay – ma è ben più impervio da scalare per via delle pareti estremamente ripide.

Ardito Desio a capo della spedizione
Il comando è affidato al geologo Ardito Desio (1897-2001), esploratore di collaudata esperienza: a lui il compito di “guidare” con autorevolezza la pattuglia selezionata per tentare l’impresa. Desio non oltrepasserà mai i 4.970 metri, quota del campo base, demandando ad Achille Compagnoni il coordinamento delle operazioni in alta quota.
Sono trenta gli elementi componenti la spedizione.
Tredici gli alpinisti italiani: Erich Abram, Ugo Angelino, Walter Bonatti, Achille Compagnoni, Mario Fantin, Cirillo Floreanini, Pino Gallotti, Lino Lacedelli, Guido Pagani, Mario Puchoz, Ubaldo Rey, Gino Soldà, Sergio Viotto.
Dieci gli hunza, portatori d’alta quota: originari del Karakorum, appartengono a un popolo conosciuto per la capacità di vivere fino a un’età molto avanzata, senza contrarre malattie croniche. Fanno parte di questo gruppo: Amir Mhadi che si spingerà fino agli 8.100 metri (nei pressi dell’ultimo campo), e Isakhan giunto ai 7.300 metri del campo VII.
Cinque i ricercatori, tutti italiani: Ardito Desio, Paolo Graziosi (archeologo), Antonio Marussi (geofisico), Bruno Zanettin (petrografo), Francesco Lombardi (geodeta e topografo).
Due i membri pakistani: Ata Ullah (osservatore del Governo pakistano), Badshajan (aiuto topografo).
Erano stati aggregati, inoltre, numerosi portatori per il trasporto del materiale dallo scalo aereo al campo base e sherpa, uomini appartenenti a un gruppo etnico delle montagne del Nepal, considerati guide provette e portatori di alta quota.

Una scalata tormentata
Dalla fine di maggio si cominciano ad allestire il campo base (4.970 m di quota) e i campi successivi, intorno ai 6.000 metri. Da qui parte il lungo e tormentato attacco alla seconda montagna più alta del mondo, quella che presenta le maggiori criticità per condizioni climatiche e conformazione fisica.
I rischi dell’impresa non tardano a palesarsi in tutta la loro drammaticità: il 21 giugno – si è al campo II, poco oltre i 6.000 metri – Mario Puchoz muore in seguito a un edema polmonare.
Tra il 25 e il 28 luglio si perviene a 7.750 metri, si appronta il campo VIII e inizia la fase cruciale dell’intera operazione.
Si decide che a tentare il raggiungimento della vetta saranno Compagnoni e Lacedelli: a loro l’onore e l’onere di scalare gli ultimi, decisivi metri che li catapulterà nella storia dell’alpinismo mondiale.
Tra il campo VIII e il traguardo tanto ambito, in poco meno di 900 metri di parete ghiacciata, si giocano il prestigio e l’esito della spedizione italiana. Sono i metri e i giorni più difficili, quelli da affrontare in condizioni climatiche e operative più complicate e rischiose.
Due uomini sfideranno le insidie di una montagna mai prima violata.
Il 29 luglio Compagnoni e Lacedelli si muovono verso gli 8.100 metri per montare il campo IX, l’ultimo prima di sferrare l’assalto conclusivo alla montagna misteriosa. Riescono a percorrere soltanto un centinaio di metri lungo il ripido muro di ghiaccio e sono costretti ad abbandonare il loro carico e a rientrare distrutti al campo VIII.
Nel frattempo, Bonatti, Rey, Abram e Gallotti partono dal campo VII con due bastini (zaini) contenenti bombole d’ossigeno e materiale che Compagnoni e Lacedelli utilizzeranno per l’arrampicata finale. Desistono anche loro, però, sopraffatti dalla stanchezza e perché vittime del “mal di montagna”.
Il giorno successivo, siamo al 30 luglio, Compagnoni e Lacedelli ripartono per il campo IX, puntando a una quota più bassa, 7.900 metri. Anche Bonatti, Abram e Mahdi si muovono per trasportare l’ossigeno necessario ai due colleghi non riuscendo, tuttavia, a individuarli. Bivaccano per quasi tutta la notte tra il 30 e il 31 luglio in condizioni estreme, a una temperatura di -50°C, allo scoperto e senza sacchi a pelo, prima di essere costretti a ridiscendere: Mahdi è in stato confusionale, con mani e piedi quasi completamente congelati che lo costringeranno a pesanti amputazioni.

.
Finalmente in vetta
Nelle prime ore del giorno 31, Compagnoni e Lacedelli ridiscendono di qualche decina di metri per recuperare le bombole d’ossigeno lasciate da Bonatti, Abram e Mahdi. Da qui, intorno alle 8,30, riprendono l’ascesa verso la cima del K2, a quota 8.611, dove finalmente giungono alle ore 18.
La sfida è finalmente vinta! Piantano una piccozza con le bandiere italiana e pakistana.
Inizia la discesa e il rientro al campo VIII: sono circa le 23, si festeggia con i compagni che nei giorni precedenti avevano raggiunto quota 7.750.
La notizia, attesa con trepidazione, si diffonde in Italia a mezzogiorno del 3 agosto, accolta con grande entusiasmo e vissuta come simbolo della rinascita del Paese nel dopoguerra: da quel momento il K2 diviene per tutti “la montagna degli italiani”.

Le polemiche dopo il successo
L’impresa, benché entrata nella storia dell’alpinismo, non è stata priva di polemiche, sin dal suo inizio. In particolare, fece scalpore l’esclusione di esperti arrampicatori quali Riccardo Cassin, che l’anno precedente aveva condotto con Desio la ricognizione sul posto, Cesare Maestri e Gigi Panei. Per tutti si affermò che l’esito delle visite mediche preliminari aveva sconsigliato una loro partecipazione. Col tempo si è adombrato il sospetto che Ardito Desio abbia accuratamente tenuto in disparte elementi ritenuti caratterialmente non adeguati a un rigoroso lavoro di gruppo.
Nacque così il “caso K2” che fu ulteriormente alimentato dagli eventi della notte tra il 30 e il 31 luglio nella zona compresa tra il campo VIII e la vetta. La polemica ebbe il suo punto focale nelle discrepanze tra la relazione ufficiale di Desio e la versione riportata nei libri di Bonatti, a proposito della non riuscita consegna dell’ossigeno a Compagnoni e Lacedelli.
Una campagna di protesta fu inscenata anche dalla stampa pakistana per il trattamento riservato all’hunza Mahdi: Compagnoni fu accusato di avergli ordinato di fermarsi a 500 m dalla cima, dopo essersi fatto aiutare nella salita.
Un chiarimento avvenne con la mediazione dell’ambasciatore italiano Benedetto D’Acunzo, che condusse un’inchiesta in merito.

Posted

26 Nov 2024

Storia e cultura


Duilio Paiano



Foto dal web





Articoli dello stesso autore

Programmi in tv oggi
guarda tutti i programmi tv suprogrammi-tv.eu
Ascolta la radio
Rassegna stampa